di Riccardo Mastrorillo

Ammettiamo per un attimo che le affermazioni di Matteo Salvini, che ha dichiarato di non sapere chi fosse Gianluca Savoini né tantomeno chi lo avesse invitato in Russia, negando in modo categorico che fosse al suo seguito, siano veritiere. Ammettiamo che questo Savoini sia un mitomane e che il colloquio, nel quale chiedeva fondi per la Lega, fosse frutto di una sua iniziativa personale, o addirittura parte di un complotto pluto-giudaico-massonico ordito contro Salvini. Ci sovvengono però alcune preoccupate domande.

Quando un ministro della Repubblica si reca in visita ufficiale, normalmente viene informato di tutte le persone che incontrerà, soprattutto nelle riunioni ufficiali e a maggior ragione negli incontri che hanno un’importanza significativa sul piano delle relazioni istituzionali e commerciali tra i due paesi. Normalmente viene stilata una lista di persone e normalmente i servizi provvedono ad analizzare tutti i partecipanti, rendendo edotto il ministro su tutti i particolari importanti che riguardano i partecipanti. Non sappiamo, e non ci interessa sapere, se questo non sia avvenuto o se Salvini, impegnato coi suoi tweet, abbia tralasciato di leggere il dossier. Quello che ci interessa, come italiani, come cittadini, come persone normali è che il nostro ministro dell’Interno, vicepresidente del Consiglio, sia andato ad un incontro ufficiale impreparato. Questo fatto è oggettivamente inaccettabile per la sesta o settima potenza industriale del pianeta.

Salvini deve dimettersi immediatamente, perché è inadeguato al ruolo, perché è un pericolo per lo Stato e soprattutto perché si è comportato in modo, quantomeno, superficiale, di quella superficialità che va ben oltre il tollerabile. Se invece Savoini avesse avuto chiaramente o implicitamente un incarico per trattare questioni commerciali o peggio di natura diplomatica, peraltro in quest’ultimo caso all’insaputa del ministro degli Esteri, la vicenda, politicamente, assumerebbe caratteristiche ancora più gravi.

Spiace constatare che mentre i 5stelle si contorcono arrampicandosi sugli specchi e scrivendo ermetici post su Facebook, Forza Italia corra in soccorso di Salvini gridando al complotto giudiziario, sostenendo come fa Mariastella Gelmini che il governo va mandato a casa con l’azione politica e non con le inchieste giudiziarie. Qualcuno potrebbe spiegare all’onorevole Gelmini che non c’è nulla di più politico della politica estera, e che un ministro dell’Interno che si circonda di faccendieri che contrattano platealmente la modifica delle posizioni diplomatiche e di politica internazionale di un governo è una questione eminentemente politica prima che giudiziaria?

Solo qualche settimana fa Salvini si è recato negli Stati Uniti e ha riaffermato l’amicizia e la lealtà atlantica, mentre il suo entourage trattava una linea di resa politica con esponenti di uno stato verso il quale l’Europa è impegnata in un confronto politico duro, accompagnato da severe sanzioni economiche. Non sarebbe sufficiente la rimozione immediata del consulente istituzionale di Salvini, tal Claudio D’Amico, peraltro pure assessore comunale della Lega a Sesto San Giovanni, fatto non da poco, che rafforza il ruolo eminentemente politico svolto da costui al dicastero salviniano.

In un qualsiasi paese civile e financo in una repubblica delle banane il vicepresidente del Consiglio, ministro dell’Interno, si sarebbe dimesso. Per molto meno in Austria il governo è caduto, proprio pochi mesi fa. E qui in Italia? Si pensa di affrontare la questione con una commissione d’inchiesta, magari estendo l’inchiesta a tutti i partiti, come se il problema siano i quattrini, quando tutti sanno che la Lega ha sottratto, dal sequestro cui era stata condannata, 49 milioni di euro che restituirà in 80 anni!

Il problema è la credibilità internazionale dell’Italia, la lealtà verso gli alleati, la coerenza con la politica estera comunitaria. Emerge una sensazione terribile, un déjà vu scabroso, una similitudine preoccupante tra i metodi e gli approcci della Russia di Putin e le manovre a tenaglia della peggior politica sovietica. E la Lega rischia di apparire di una disponibilità pelosa e accattona che nemmeno il peggior Pci aveva mai osato praticare.

Per carità, anche Berlusconi si è sempre vantato di una amicizia personale con Putin, ma una cosa erano le vacanze sarde di Putin nella villa di Berlusconi, in quel caso sì, foriere di “pettegolezzi giornalistici”, come ha deprecabilmente definito la vicenda Savoini la presidentessa del Senato.

Altra cosa è quello che sta emergendo, anche nella versione più edulcorata possibile. Berlusconi ammiccava, lasciava intendere, si beava della sua amicizia personale con Putin, ma non si è mai sognato, nemmeno lontanamente, di venir meno agli impegni di lealtà e di rispetto nei confronti degli alleati. Nei momenti salienti, benché talvolta contrario e contrariato, come nel caso della Libia – forse a ragione – non si è mai messo di traverso.

Quello che sta emergendo ha una definizione, chiara e inequivocabile: alto tradimento, magari inconsapevole, e sarebbe un’aggravante, ma tant’è. E sarebbe ora che tutti ne traessero le necessarie conseguenze.

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