Resistere è molto difficile, tanto più che i risultati sono impressionanti: io, ad esempio, tra una trentina d’anni pare assomiglierò alla zia più cara che ho e questo mi ha riempito di gioia. Bella, insomma, questa app che ci invecchia. Bella questa FaceApp, che riesce a unire nel nome i due social a cui siamo più affezionati (Facebook e Whatsapp). Ma a che prezzo?

E’ una piattaforma realizzata da sviluppatori russi e questo, salvo prove contrarie, non è di per sé un problema. Essere russi non è un crimine, avere una buona idea imprenditoriale neanche. Guardiamo però cosa prevedono i termini di servizio e la privacy policy: si scopre che è un ricettatore di informazioni di tutti i tipi.

Dati biometrici, informazioni su indirizzi Ip, browser, dati di navigazione e preferenze da prendere o cedere a piattaforme e servizi pubblicitari, informazioni per migliorare i servizi, per svilupparne di nuovi. E non li tengono solo per loro. “Potremmo condividere il contenuto dell’utente e le tue informazioni (incluse, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, informazioni da cookie, file di registro, identificativi dispositivo, dati sulla posizione e dati di utilizzo) con le aziende legalmente parte dello stesso gruppo di società di cui FaceApp fa parte, o che diventano parte di quel gruppo”.

E cosa possono farne? “Gli Affiliati possono utilizzare queste informazioni per aiutare a fornire, comprendere e migliorare il Servizio includendo anche l’analisi e i servizi propri degli Affiliati, anche fornendo esperienze migliori e più pertinenti. Ma questi affiliati onoreranno le scelte che fai su chi può vedere le tue foto”.

Specificano di conservare i dati negli Stati Uniti o in qualsiasi altra parte del mondo in cui la società abbia sede e aggiungono “se vi trovate nell’Unione Europea o in altre regioni con leggi che regolano la raccolta e l’uso dei dati che possono essere diverse dalla legge statunitense, si prega di notare che possiamo trasferire informazioni, incluse informazioni personali, in un paese e giurisdizione che non ha la stessa protezione dei dati leggi come vostra giurisdizione”, sorvolando sul dettaglio che il regolamento europeo prevede, ad esempio, che si applichino le regole del Paese in cui i dati sono raccolti e non di quello dove vengono custoditi.

Insomma: ci facciamo scansionare gratis la faccia, il nostro selfie – chiaro e dettagliato – arriva nei database di una società russa che può farne quasi ciò che vuole, esercitarsi sulle tecnologie di riconoscimento facciale, ad esempio, o sviluppare nuove applicazioni o creare “affiliate” che faranno cose di cui non saremo informati. Scansioniamo magari anche la faccia di chi non ci ha dato l’autorizzazione a farlo, arricchiamo database enormi e forniamo tutti gli elementi per fare in modo che a quella faccia, in poche mosse, si possa pure associare quasi un nome e un indirizzo.

E, diciamocelo, non c’è nessun buon motivo per cui questo possa accadere: non può esserlo la ricerca sull’intelligenza artificiale, non può esserlo la sicurezza, non l’informazione, non l’innovazione né lo sviluppo tecnologico. Non c’è scienza né necessità che lo giustifichi: possono mai farlo ingenuità e vanità?

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