Il rischio è quello di un “apartheid climatico”, in cui i soltanto i ricchi hanno i mezzi per sfuggire alla fame “mentre il resto del mondo è lasciato a soffrire“, tanto che il climate change “potrebbe condurre oltre 120 milioni di persone in più in povertà entro il 2030″. E a salvare la terra dal “disastro imminente” non serviranno certo le misure adottate dagli organismi delle Nazioni Unite, che sono “palesemente inadeguate”. Un allarme che in questi termini non era mai stato lanciato e che arriva da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà, che fa parte di un gruppo di esperti indipendenti delle Nazioni Unite.

“Il cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà“, ha spiegato Alston presentando il suo rapporto al Consiglio per i diritti umani, un altro documento che solleva la necessità di interventi decisi rispetto al cambiamento climatico. “Ancora oggi – ha aggiunto – troppi Paesi stanno facendo passi miopi nella direzione sbagliata”. L’avvertimento chiave del rapporto, basato sulle ultime ricerche scientifiche e presentato a Ginevra, è che i poveri del mondo rischiano di essere colpiti più duramente dall’aumento delle temperature e dalla potenziale penuria di cibo e dai conflitti che potrebbero accompagnare questo cambiamento. Inoltre, chi “ha contribuito in parte minore alle emissioni sarà il più danneggiato“: si prevede infatti che le nazioni in via di sviluppo soffriranno almeno il 75% dei costi dei cambiamenti climatici, nonostante il fatto che la metà più povera della popolazione mondiale generi solo il 10% delle emissioni di CO2.

Un quadro drammatico supportato da studi internazionali che da mesi, grazie all’attivismo di Greta Thunberg e dei Fridays ForFuture, è al centro del dibattito. Tante le ricerche che dimostrano come i cambiamenti climatici porteranno, ad esempio, all’aumento della domanda di energia fino al 58% entro il 2050 e come stiano già causando lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, mentre in Italia un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione. Ma la strada, anche in Europa, è tutta in salita: nonostante sia stato approvato il bando definitivo per bandire la plastica monuso dal 2021, i paesi membri non hanno trovato un’intesa sul taglio delle emissioni a causa dell’opposizione dei paesi Visegrad. La sostenibilità, però, come fa fatto emergere l’ultimo rapporto Istat, ha creato un comparto produttivo che in Italia cresce a una velocità superiore rispetto a quella media dell’economia. E se come dice Alston le misure adottate dall’Onu per fare fronte al’emergenza sono inefficaci, alle ultime elezioni europee sono milioni gli elettori che dalla Francia all’Irlanda hanno scelto i Verdi per chiedere un intervento diretto della politica per tutelare l’ambiente.

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