Carlo Verdone, nei panni di Furio, non condividendo la scelta della povera Magda di usufruire dei servizi igienici di un Autogrill, le urla “tanti auguri e in bocca al vibrione”.

Forse per timore di essere paragonati al maniacale protagonista di Bianco, Rosso e Verdone, nessuno ha commentato l’annuncio urbi et orbi della moneta virtuale di Facebook.

Persino i complottisti, generalmente pronti ad allarmare il pianeta, sono rimasti silenti dinanzi ad un evento drammaticamente epocale. Le anticipazioni sulla criptovaluta, che è divertente immaginare sormontata da Zuckerberg come un tempo Giuseppe Verdi sulle “mille lire”, hanno solo innescato applausi soprattutto tra gli spettatori tradizionalmente (e orgogliosamente) digiuni di economia e finanza. L’intraprendente Mark ha messo a segno un altro importante risultato, l’insostituibile Mark ha regalato un’altra magica opportunità agli inquilini del proprio social network, l’incomparabile Mark ha saputo trovare la soluzione globale per chi abbia interesse a muovere denaro.

Dopo simili premesse è istintivo accodarsi alle frotte di cibernauti che – come in Jesus Christ Superstar, o banalmente nel Vangelo letto la domenica delle palme – osannano festanti il transito del Messia.

Quelli che non si lasciano trasportare dai facili entusiasmi si pongono – credo legittimamente – almeno due dubbi. Senza nascondersi dietro ad eufemistici giri di parole, le preoccupazioni riguardano la riservatezza dei dati personali e il riciclaggio.

Facebook ha dato prova (e dovrebbero essersene accorti tutti) di non avere molto a cuore la tutela della privacy di chi affolla le sue pagine e vi riversa contenuti che molto sovente non dovrebbero essere resi pubblici. L’esibizionismo degli iscritti al social network e la loro sostanziale infantile ingenuità di fronte a Internet palesano immaturità e inconsapevolezza inversamente proporzionali alla conoscenza dello strumento tecnologico impiegato. La debordante spontaneità degli utenti ha arricchito gli sterminati archivi elettronici in cui i signori di Menlo Park hanno orwellianamente raccolto ogni dettaglio della vita di chi si espone sulla ribalta virtuale.

La domanda “cosa stai pensando”, cui verrebbe istintivo replicare con un “cerca di farti i fatti tuoi”, ipnotizza chi è alla tastiera del computer o smanetta sullo smartphone. Dai più innocenti e spesso involontari “like” alle opinioni più esacerbate, convinzioni e intenzioni sono rese costantemente manifeste attraverso gli strumenti che Zuckerberg & C. mettono gratuitamente a disposizione dei milioni e miliardi di persone. Facebook, Instagram e WhatsApp si ripagano con le informazioni che gli utilizzatori non esitano a riversare, contribuendo a pennellare il proprio ritratto pittorico ogni giorno più definito e fotografico.

In prospettiva i soggetti radiografati in modo viscerale dal colosso dei social e della messaggistica istantanea confideranno il loro ultimo segreto: le disponibilità economiche e il relativo impiego delle somme finiranno nelle fauci dei famelici sistemi informatici che già sanno più del dovuto e del lecito.

Ad applaudire l’iniziativa di “Libra”, la moneta virtuale che si affaccerà sui mercati nel giro di un anno, ci sono state anche le stesse persone che sapevano dello scandalo Cambridge Analytica, che avevano sentito parlare dei numerosi procedimenti innescati dalle associazioni per i diritti civili dinanzi alla Federal Trade Commission (o a tante altre Autorità competenti), che erano a conoscenza delle imperturbabili violazioni compiute anche a loro danno con il mercimonio dei loro dati o con la pessima difesa implementata che hacker e altri malintenzionati hanno dribblato apparentemente senza eccessiva difficoltà.

Il coro dei “bravo! bravissimo!” non ha lasciato a nessuno né il tempo né la voce per domandarsi se è disponibile ad affidare i propri denari ad un personaggio che per anni ha gestito i dati altrui con estrema leggerezza e talvolta in modo colpevole.

In un universo come quello di Facebook dove milioni di iscritti si sono registrati con nomi di fantasia e senza un accertamento di identità, viene da chiedersi se non si corra il rischio di un incremento esponenziale del fenomeno del riciclaggio.

Mi permetto di consigliare la lettura di un mio vecchio scritto del 1999, apparso sulle pagine di Gnosis (il periodico dell’allora SISDE) e tuttora online sul sito web dei nostri Servizi Segreti. Nonostante i suoi vent’anni (un’era geologica considerata la celerità dei tempi moderni) mantiene una sorprendente attualità e consente di avvicinarsi ad una tematica spesso indigesta.

Il cosiddetto cyberlaundering è la linfa vitale di ogni attività criminale che si alimenta con il reimpiego di capitali di provenienza illecita. Se è vero che la “blockchain” (dinamica di funzionamento alla base delle cryptovalute) assicura il rigoroso tracciamento di ogni singolo step di una infinita catena di passaggi, mi chiedo a cosa serva se i soggetti “intestatari” dei vari trasferimenti di denaro non sono compiutamente identificati.

La certezza di sapere sempre e comunque “chi ha fatto cosa” rischia di sgretolarsi con la successiva scoperta che il tizio si chiama Topo Gigio. Saranno sicuramente implementate tutte le misure di sicurezza, ma – visti gli episodi che si sono susseguiti finora – credo sia lecito non fidarsi di chi ha fatto uno spietato business con i nostri dati.

Mark Carney, governatore della Bank of England, dice che i pagamenti effettuati con Libra potranno godere dei più elevati standard tecnologici e saranno oggetto di rigorosi controlli. Nell’assordante silenzio istituzionale, sarei curioso di conoscere l’opinione di chi – dalle nostre parti – ha il compito e il dovere di occuparsene.

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