rita-levi-montalciniNon può passare inosservato neanche l’anniversario dalla nascita della senatrice a vita. Importante medico neurologo, scienziata e ricercatrice di primissimo livello, che tanti riconoscimenti e fasti ha portato alla nostra nazione, non può certo essere lasciata nel dimenticatoio. Nata a Torino il 22 aprile 1909, fin da bambina diceva di ”non essere interessata ad una società dagli uomini né a un futuro di buona moglie o di buona madre”. Nonostante le resistenze paterne, si iscrisse a Medicina e studiò nella scuola dell’istologo Giuseppe Levi insieme a Salvador Luria e Renato Dulbecco, che come lei sarebbero diventati Nobel. Le leggi razziali la costrinsero a trasferirsi in Belgio, dove continuò a studiare lo sviluppo del sistema nervoso nell’università di Bruxelles. Poi tornò a Torino, dove aveva allestito un laboratorio di fortuna in camera da letto, una stanzetta di due metri per tre: un periodo difficile, ma fertile intellettualmente, del quale non si stancava mai di raccontare. Nonostante i pochissimi mezzi (ma preziosi, come le uova di pollo in piena guerra) scoprì fenomeni fondamentali legati allo sviluppo del sistema nervoso e alla morte cellulare. I bombardamenti la costrinsero a trasferirsi prima vicino Asti e poi a Firenze, dove nel 1944 lavorò come medico al servizio degli alleati (e dove capì che fare il medico non faceva per lei), e poi nuovamente ad Asti. Nel 1947 il grande passo verso gli Stati Uniti, dove le era stata offerta una cattedra nella Washington University di St Louis. Quello che avrebbe dovuto essere un soggiorno di pochi mesi si trasformò in un’esperienza di 30 anni. Rita Levi Montalcini teneva molto a dire che l’11 giugno 1951 segnò la sua scoperta fondamentale: il fattore di crescita delle cellule nervose, o Nerve Growth Factor (Ngf). Una scoperta che, diceva, ”andava contro l’ipotesi dominante nel mondo scientifico che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni”. Era stata una visione giusta delle cose, la sua, considerando che le sue ricerche sarebbero state premiate con il Nobel, che avrebbe condiviso con il suo studente Stanley Cohen. Costante anche l’attività a favore delle donne, soprattutto africane, aiutate anche con una fondazione intitolata al padre.

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