V. è una ragazza in carriera, in gamba e intelligente, due lauree, lavoro in proprio, tanti hobby, un fidanzato di lungo corso. È partita per una fiera di tre giorni a Milano e appena salita sul treno ha scoperto di aver lasciato a casa il cellulare. All’arrivo ne ha comprato subito un altro perché, come ha ammesso con candore lei stessa: “Non posso vivere senza cellulare. Non saprei dove andare a Milano!”.

Da vecchio dinosauro arrugginito che ha sempre viaggiato – e continua a farlo – con la mappa e chiedendo in giro, ho pensato subito a un paio di soluzioni che avrei adottato io per tamponare l’emergenza. In fondo era a Milano!

Nella mia testa da cariatide (V. è più giovane di me di dieci anni) non mi sarebbe mai venuto in mente di perdere tempo per comprarne uno nuovo, anche se devo ammettere che parte delle mie certezze sono crollate quando, sabato scorso, sono entrata in un negozio Vodafone e ho comprato il mio primo smartphone. Ero talmente sotto choc che, nell’attendere l’autorizzazione della banca per finalizzare l’acquisto, sono entrata in un bar del centro di Parma e ho bevuto una Malvasia alla goccia. Per ora, la cosa di cui vado più fiera è aver messo Cry di Janis Joplin come suoneria. Ça va sans dire, non potevo mica mettere Mahmood.

Nonostante una delle mie roccaforti più incrollabili abbia ceduto rovinosamente, penso che neanche se mi impegnassi in uno sforzo d’immaginazione feroce mi vedrei in crisi d’astinenza da cellulare. In parte perché la mia vita fino a 43 anni ne è stata del tutto priva, ma più che altro perché non mi piace come questo tipo di tecnologia ha trasformato le persone. Come le manipola, modella, rende dipendenti, schiave. E, peggio ancora, tutte uguali.

Lavorando con stranieri ogni giorno è ancora più evidente. Vengono dagli Stati Uniti, dall’Australia, dall’India o dalla Francia, ma parlano degli stessi argomenti. Vedono le stesse serie televisive. Usano le stesse app. In pratica, fanno le stesse cose. Si parte sempre dall’omologazione dei gusti, per arrivare a quella del pensiero. Rimuovendo ogni spirito critico, con l’assuefazione alla pigrizia intellettuale (anche solo quella di guardare mille serie tv anziché leggere giornali o libri) si creano fenomeni sociali uguali in tutto il mondo. Non è affatto casuale che movimenti socio-politici come i cosiddetti populismi, intolleranza verso le minoranze, rigurgiti fascisti tocchino con le stesse caratteristiche e modalità paesi diversissimi tra loro.

Non è così complicato da capire: guardando a ripetizione gli stessi contenuti si abbatte, appiattendo, qualsiasi differenza di cultura e costume. Entrare nella testa delle persone è velocissimo, le si può raggiungere in qualsiasi momento, ovunque, è sufficiente una sola mano. Il reset cerebrale arriva quando sei in vacanza, quando ammazzi il tempo leggendo le “notizie”, quando invece che parlare con la persona seduta di fianco a te accendi il cellulare.

Quando ho acceso il mio cellulare per la prima volta mi ha chiesto subito dove mi trovassi, voleva connettermi con persone che non sentivo da millenni, vendermi app con l’insistenza che neanche i venditori sulla spiaggia, voleva che guardassi il meteo ogni 30 secondi. Sembrava un ospite che arriva a cena senza essere invitato. Al di là di qualche vocale dove, in tutta onestà, ho proprio riso come una bambina piccola, e l’inevitabile sbeffeggio da tutti quelli che conosco perché sono agile sui tasti come un lottatore di sumo su una pista da ballo, non penso che questo piccolo seducente mezzo diventerà mai un accessorio indispensabile. Ma il fatto che molti di noi, senza di “lui”, si sentano persi (a volte anche letteralmente), non è un bel segno per l’umanità.

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