Li avete visti bene nelle foto, nelle immagini dei Tg, i fratelli Armando e Antonio Del Re accusati a vario titolo di aver fatto quasi una strage in piazza Nazionale a Napoli dove è rimasta ferita la piccola Noemi di appena 4 anni? Lo studioso Cesare Lombroso ci avrebbe scritto un’enciclopedia. Guardateli bene negli occhi, fissateli. C’è un vuoto assoluto, il non essere nulla, l’assenza totale di una pur minima, residuale reminiscenza di una lontana umanità. Addirittura Antonio Del Re, 18enne da pochi mesi – indicato come colui che ha studiato i dettagli logistici con pedinamenti della vittima designata Salvatore Nurcaro e accompagnatore in Piazza Nazionale, il pomeriggio di venerdì 3 maggio, del fratello killer all’uscita dalla Caserma Pastrengo dei Carabinieri diretto al carcere di Poggioreale -, rivolto agli operatori dell’informazione e a favore di flash e telecamere ha sorriso, mentre amici e parenti piangevano al suo passaggio verso la gazzella dei militari dell’Arma. Tuta sportiva, camminata da bulletto, espressione da ebete, mimica facciale di chi è scocciato, annoiato, indifferente al reale.

Le stesse smorfie le ritrovi sul volto del fratello Armando, 28 anni, acciuffato in un autogrill del senese con madre e moglie al seguito. Felpa gialla, pantalone della tuta, scarpe da ginnastica, barba alla Emanuele Sibillo (ES17) e sguardo anaffettivo. Sul suo profilo Facebook c’è una foto che fa pensare molto: c’è lui, la moglie e i loro quattro figli che festeggiano un compleanno. Il più piccolo dei suoi bambini ha l’età di Noemi, la bimba che da otto giorni – sorretta da mamma Napoli – combatte come una leonessa nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Santobono. Nella foga dell’agguato, Armando Del Re, incurante di Noemi ferita da un proiettile e implorante a terra, l’ha per ben due volte scavalcata e sfiorata. Disumanità, odio accecante, depravazione e qualcosa di diverso dall’insita logica di guerra.

Avanza e diventa centrale nelle nuove leve delle bande di camorra un disprezzo per la vita. Sono generazioni di bulli che condividono lo stesso senso di morte dei kamikaze dell’Isis, in pratica esuberi umani suggestionati da un’epica potenza sanguinolenta. Più che uno stato fisico e mentale, è un disastro-disturbo sub-culturale. E’ un’obesità, una goffaggine, una strafottenza esistenziale, un male oscuro, una vita vissuta nella caverna metropolitana, nel buio di una disumanità che non ha pari altrove. Mi diceva Antonio Piccirillo, figlio di un boss di camorra: “A tavola il figlio di un camorrista di cosa può parlare? Secondo te quali sono i discorsi che si faranno in quella casa?”.

Armando e Antonio sono i figli di Vincenzo Del Re, conosciuto con il nomignolo di ‘A Pacchiana, attualmente detenuto proprio in un carcere dalle parti di Siena. ‘A Pacchiana è uno storico capo di una piazza di spaccio tra Scampia e Melito. Legato da almeno vent’anni ai narcos del clan dell’ex boss Paolo Di Lauro. Con lui hanno sempre “lavorato” nello smercio della droga anche gli altri fratelli pregiudicati Cristoforo, Roberto e Salvatore. Forse sarebbe il momento di pensare di romperlo, questo familismo amorale, sottraendo i figli alla famiglie di camorra con lo stop alla patria potestà, come il modello calabrese contro la ‘ndrangheta.

C’è un’ampia zona grigia della città che ormai è piegata, assoggettata, condizionata dalla prevaricazione di un ceto e di una élite criminale che in modo predatorio irrompe e comanda con la forza intimidatrice economica. Negli anni, i Del Re hanno accumulato denaro e ricchezze che hanno reinvestito in negozi, esercizi commerciali, appartamenti e attività ricreative attraverso il sistema dei prestanome. Napoli è piegata sulle ginocchia. Gli apparati investigativi e gli inquirenti hanno dimostrato di essere un baluardo e il volto più credibile di uno Stato che resta per paradosso con un ministro dell’Interno non interlocutore credibile nella lotta alle mafie. E quel selfie del questore Antonio De Iesu con tutti gli uomini e le donne che hanno indagato e dedicato gli arresti alla piccola Noemi spiega più di tante inutili visite dei leader politici cosa significhi veramente la parola credibilità. E poi la Procura della Repubblica di Napoli, con il capo Giovanni Melillo e la quota rosa dei magistrati Antonella Fratello, Simona Rossi, Gloria Sanseverino con il coordinamento dell’aggiunto antimafia e tifosissimo di Napoli e del Napoli Giuseppe Borrelli, che hanno ricostruito e svelato l’ennesima trama seriale criminale.

C’è un barlume di speranza solo se questa storia in discontinuità con accenni di rivolta – sul web la gente maledice la camorra e si augura addirittura la morte per i due fratelli – inducesse il governo a elaborare progetti di medio-lungo termine per Napoli. Occorre incidere nelle famiglie, strappare i figli a un destino già scritto, riprendersi le generazioni abbandonate, fornire loro strumenti di bellezza, farli uscire dalle caverne medievali degli usi, costumi e tradizioni della camorra.

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