La sola idea può spaventare, ma i test che hanno permesso di ripristinare la circolazione del sangue e funzioni cellulari nel cervello di alcuni maiali ore dopo la morte non sono capricci da novelli dottor Frankenstein ma un ulteriore passo della scienza su una migliore conservazione degli organi per i trapianti, sullo studio di terapie contro i danni cerebrali e più in generale sulla ricerca sul cervello umano e sulla definizione di vivente. Il risultato, al quale Nature dedica la copertina, si deve al gruppo dell’Università di Yale guidato da Nenad Sestan.

Il risultato, come riporta l’Ansa, indica che il cervello dell’uomo e degli altri grandi mammiferi conserva la capacità, finora ritenuta impossibile, di ripristinare la funzione di alcune cellule e la circolazione sanguigna anche a ore di distanza da un arresto circolatorio. Alla ricerca, i cui primi autori sono Zvonimir Vrselja e Stefano G. Daniele, ha collaborato l’italiana Francesca Talpo, che lavora fra Yale e Università di Pavia.  Per Sestan, in futuro la stessa tecnologia “potrebbe essere utilizzata per terapie contro i danni provocati dall’ictus”.

L’esperimento è stato condotto su 32 cervelli di maiale ottenuti da macelli con lo strumento chiamato BrainEx, progettato e finanziato nell’ambito della Brain Initiative promossa dagli statunitensi National Institutes of Health (Nih). Il dispositivo si basa su un sistema che, a temperatura ambiente, pompa nelle principali arterie del cervello una soluzione chiamata BEx perfusato, un sostituto del sangue basato su un mix di sostanze protettive, stabilizzanti e agenti di contrasto. Immersi nel dispositivo, che in sei ore ha ripristinato l’irrorazione in tutti i vasi sanguigni, i cervelli hanno mostrato sia la riduzione della morte cellulare, sia il ripristino di alcune funzioni cellulari, compresa la formazione di connessioni tra i neuroni (sinapsi). Non è chiaro se tempi di perfusione più lunghi potranno ripristinare completamente l’attività cerebrale: per verificarlo saranno necessari ulteriori esperimenti. È stato invece dimostrato che mantenere l’irrorazione sanguigna e la vitalità di alcune cellule può aiutare a conservare gli organi più lungo. Nel caso del cervello umano, per esempio, ritarderebbe il processo di degradazione che distrugge le cellule e permetterebbe ricerche oggi impossibili perché le attuali tecniche di conservazione richiedono processi, come il congelamento, che alterano la struttura cellula in modo irreparabile.

La nuova tecnica “potrebbe portare a un modo completamente nuovo di studiare il cervello dopo la morte”, ha rilevato Andrea Beckel-Mitchener, della Brain Initiative. “La nuova tecnologia – ha proseguito riferendosi al dispositivo BrainEx – ci apre nuove opportunità per esaminare cellule complesse, circuiti e funzioni che si perdono quando il tessuto cerebrale è conservato in modo tradizionale. Potrebbe inoltre aiutare a sviluppare nuove tecniche di intervento per recuperare il cervello dopo l’interruzione dell’irrorazione sanguigna, come accade durante un attacco di cuore”.  Alla luce di tutte queste considerazioni il progetto BrainEx ha trovato il pieno consenso dei bioeticisti americani: “Come ricercatori in biomedicina abbiamo l’imperativo etico di utilizzare gli strumenti più potenti sviluppati nell’ambito della Brain Initiative per aiutare a rivelare i misteri dei danni cerebrali e delle malattie neurologiche”, ha osservato Christine Grady, del dipartimento di Bioetica del Centro Clinico dei Nih.

L’articolo su Nature

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