Il carcere dei “suicidi sospetti”. Il penitenziario dal quale arrivano lettere di detenuti convinti di essere all’inferno. È il Mammagialla di Viterbo, un istituto preceduto dalla sua stessa fama. Qui la polizia penitenziaria ha deciso di manifestare davanti alla prefettura contro quello che definisce “il muro di fango che ad arte stanno erigendo”. I sindacati aggiungono: “Se ci sarà chi ha sbagliato, è giusto che debba pagare”. Ma cosa è accaduto tra quelle mura? “Ho la testa piena di cicatrici dalle botte subite”. “Mi convinco sempre di più di trovarmi in un mondo infernale”. E ancora: “Sono stato malmenato dalle guardie, picchiato così forte da farmi perdere la vista all’occhio destro”. Sono stralci delle lettere scritte da alcuni detenuti e inviate da febbraio 2018 e nei mesi successivi ad Antigone e al Garante dei diritti dei detenuti del Lazio. Le accuse sono state confermate anche a voce da alcuni detenuti ascoltati dal Garante che, a giugno 2018, ha presentato un esposto alla Procura, informando il direttore dell’istituto, Paolo D’Andria. Dopo quella denuncia è stata aperta un’inchiesta, la quarta che coinvolge il carcere. Altri tre fascicoli sono stati aperti rispettivamente in seguito alla denuncia della moglie di un detenuto di 31 anni, Giuseppe De Felice, che le ha raccontato di essere stato aggredito dagli agenti penitenziari, alla morte di Andrea De Nino, trovato impiccato il 21 maggio 2018 e al suicidio, due mesi dopo, del 21enne egiziano Hassan Sharaf. Il terzo avvenuto nell’istituto penitenziario lo scorso anno. È poi in corso un’indagine amministrativa partita dalla richiesta del ministero della Giustizia. “Il carcere di Viterbo – spiega il Garante Stefano Anastasia a ilfattoquotidiano.it – ha fama di essere un istituto ‘disciplinare’, ossia dove si fanno rispettare le regole anche ai detenuti che si comportano male in altri istituti”.

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