Emozionante. Seguire la conferenza stampa di presentazione della prima fotografia mai scattata a un buco nero è semplicemente emozionate. Emoziona la certezza di partecipare a un momento epocale che divide il prima dal dopo. Da oggi la fisica, almeno una parte di essa, non è più la stessa. Quello che fino a ieri era l’immateriale soluzione matematica di una teoria è diventato un oggetto fisico, misurabile, osservabile. Un laboratorio dove svolgere esperimenti che riguardano la gravità prima non accessibile. Procediamo con ordine.

10 aprile 2019, ore 15:00 Cest, ovvero ora di Bruxelles. Palazzo Berlaymont. Rappresentanti della Commissione europea, del Consiglio della ricerca europeo e del progetto EHT, che sta per Event Horizon Telescope, presentano la prima foto mai scattata di un buco nero super massiccio. Precisazione necessaria perché di buchi neri ce ne sono diversi. Ci sono quelli piccoli con una massa tre-quattro volte quella del nostro Sole; quelli medi che hanno massa diecimila volte quella solare; quelli cannibali che mangiano fra loro, ce ne sono che generano venti che soffiano a oltre 32 milioni di chilometri all’ora, ci sono i buchi neri vagabondi che viaggiano nello spazio a 9,5 milioni di kmh e poi ci sono i pesi massimi, veramente massicci, vere mostruosità con una massa da milioni a miliardi di volte quella del Sole. Sono loro a tenere insieme le galassie, ad ancorare le costellazioni.

Per esempio, non troppo lontano da noi, a “solo” 320 milioni di anni luce, c’è la galassia NGC3842, con al centro un buco nero che contiene 9,7 miliardi di masse solari. La forza gravitazionale di questi mostri è tale da attirare gas e polvere spaziale che si mettono a orbitare intorno a essi. Guai se ci avvicina troppo, superando la “distanza di sicurezza”, una frontiera chiamata “orizzonte degli eventi”. Se accade, qualunque forma di materia viene inesorabilmente inghiottita dal buco nero, gigantesco imbuto che deforma il tessuto spazio-temporale del cosmo. La forza gravitazionale di un buco nero è tale che nemmeno la luce, nonostante la sua velocità di fuga di 299792458 metri al secondo (circa 300mila chilometri al secondo), riesce a sfuggire. Per questo è nero. Non emette luce. Al suo interno non esiste più la materia, non esiste energia. Non perché venga distrutta – evento impossibile in fisica – ma perché viene utilizzata per generare la deformazione del tessuto spazio temporale. Quanto più ingoia materia ed energia, tanto più aumenta la massa del buco nero, tanto più aumenta la profondità dell’imbuto, del cono rovesciato, il cui vertice, un punto, è una singolarità dove le leggi della fisica non hanno più validità.

L’obiettivo del progetto EHT, nato nel 2006, è quello di fotografare l’orizzonte degli eventi e l’ombra che il buco nero proietta su di esso. Per raggiungerlo si è concentrato su due buchi neri super-massicci: Sagittarius A*, per gli amici Sgr A*, che si trova al centro della nostra via lattea, e quello al centro di Messier 87, aka M87, una gigantesca galassia ellittica che si trova nella costellazione della Vergine.

Il soggetto fotografato è proprio M87, una mostruosità 6,5 miliardi di volte la massa del Sole a 55 milioni di anni luce dalla Terra perché Sgr A+, oltre a essere mille volte più piccolo, è anche mille volte più veloce di M87. Si muove troppo e la foto è molto, molto difficile da scattare. Come riprendere, per contarli, i buchini sulla superficie di una palla da golf del diametro di 42,7 millimetri da 4mila500 chilometri di distanza. Per riuscirci hanno messo in piedi un radiotelescopio virtuale della dimensione del nostro pianeta, perché quanto più grande è il disco di un telescopio, tanto maggiore è il contrasto dell’immagine, collegando otto radiotelescopi posti in luoghi elevati dove l’atmosfera è sottile e trasparente: dalla Sierra Nevada spagnola, ai vulcani del Messico e delle Hawaii, alle montagne dell’Arizona, al deserto Atacama in Cile e per finire in Antartide.

Hanno lavorato nella banda da 230 a 450 GHz. Hanno avuto la fortuna di avere una situazione di bel tempo ovunque per i giorni necessari. Per assemblare le misure svolte, hanno dovuto sincronizzarle nel modo più preciso possibile, avvalendosi di un orologio atomico così preciso da potere perdere, al massimo, 1 secondo ogni 100 milioni di anni. I duecento e più scienziati coinvolti dal progetto EHT hanno raccolto sei metri cubi di dischi di memoria e hanno utilizzato macchine per il super calcolo al massimo delle capacità, ricostruendo, dove mancavano, le tessere del puzzle che andavano componendo. Quanto raccolto è a disposizione della comunità scientifica mondiale. Il lavoro svolto è descritto in sei diversi articoli scientifici in corso di stampa. Tutto questo per osservare direttamente la regine nelle immediate vicinanza del buco nero, ottenendo l’immagine di un anello, piuttosto spesso, leggermente sfocato, la cui parte inferiore è molto più luminosa di quella superiore (si tratta di effetto Doppler relativistico), nel cui centro c’è il nero del buco o meglio la sua ombra. La radiazione fotografata è generata dalla rotazione – con certezza è di direzione oraria – di quanto viene catturato nelle vicinanze dell’orizzonte degli eventi.

La foto è già qualcosa di eccezionale, ma ancora più eccezionale è la sua rassomiglianza con le immagini generate per simulazione utilizzando i modelli che derivano dalla relatività generale di Einstein. Bravo, incredibile, Albert: la sua teoria ha superato anche questo test con formidabile successo. Dunque, per ora, la spiegazione più semplice ed elegante di quanto fotografato è che si tratti proprio di un buco nero. La teoria ammette anche altre spiegazioni possibili, esotiche, ma il rasoio di Occam si è spesso rivelato il principio metodologico di selezione vincente.

Il prossimo passo del progetto EHT sarà quello di passare da un’immagine statica a un filmato; misurare altri parametri come il campo magnetico, scoprire se l’orizzonte degli eventi ruota, o se ruota il buco nero, oppure se ruotano tutti e due. Andare a vedere come sono altri buchi neri, in altre galassie. Lista non esaustiva. Sarà necessario migliorare il contrasto e l’unico modo per farlo è andare nello spazio. Servono radiotelescopi in orbita… la terra è stata già utilizzata al massimo delle sue capacità o meglio dimensioni.

L’Europa non può che essere fiera di questo successo scientifico che dimostra le sue capacità organizzative, tecnologiche, di conoscenza e deve continuare a essere leader nella ricerca scientifica di base. Ne dipende il suo futuro, il nostro futuro. I soldi spesi nella ricerca scientifica non sono un costo, sono un investimento. C’è anche un’importante lezione per la politica, soprattutto per i sovranisti dell’ultima ora. I risultati si ottengono lavorando insieme, mettendo nello stesso paniere i fondi di ricerca nazionali e comunitari, aprendo l’Europa alle collaborazioni internazionali. Da soli non si va lontano. Non si va da nessuna parte.

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