Socializzazione. Da questa parola parte la protesta che ha coinvolto oltre 40.000 persone sabato scorso a Berlino. Socializzazione che vale come sinonimo di nazionalizzazione. Si parla di case, quelle che alcuni gruppi di attivisti berlinesi vorrebbero riportare sotto il controllo pubblico per cercare di calmierare il prezzo degli affitti, che a Berlino negli ultimi anni hanno raggiunto dei picchi storici.

Una campagna referendaria che punta a espropriare gli appartamenti, circa 300.000, posseduti da 11 gruppi immobiliari che grazie alla loro influenza riescono a guidare il mercato immobiliare della capitale tedesca. Il più famoso è Deutsche Wohnen, un’azienda a guida tedesca che possiede circa 126.000 appartamenti in tutta la Germania. Così è iniziato il primo step per il referendum, la raccolta di 20.000 firme, che dopo essere passate al vaglio daranno il via al secondo, la raccolta di ulteriori 170.000 firme e l’approvazione del senato della città di Berlino, per andare in futuro verso un referendum che possa riportare alcune proprietà private in mano pubblica.

La base legale
Letta così potrebbe sembrare l’utopia di qualche attivista, ma il referendum Deutsche Wohnen Enteignung ha una solida base legale, l’articolo 15 della costituzione tedesca. Infatti, l’articolo permette l’esproprio di proprietà private, beni o mezzi di produzione per essere utilizzati a livello collettivo. Proprio da qui parte l’idea di un referendum per arrivare ad ottenere una vera e propria nazionalizzazione di una parte del mercato immobiliare della capitale tedesca, così da avere un controllo statale maggiore sugli aumenti indiscriminati degli affitti che hanno colpito la città negli ultimi 10 anni. “A Berlino negli ultimi dieci anni gli affitti sono aumentati del 100%, ma lo stesso non è successo con i salari”, racconta Helge, attivista di Deutsche Wohnen Enteignung che sabato ha partecipato alla manifestazione. Questo ha portato diverse persone a “dover lasciare il proprio quartiere, la propria casa, il proprio tessuto sociale, a volte anche a causa di veri e propri sfratti”.

Di fatto un oligopolio
Ma dietro a gli aumenti indiscriminati degli affitti c’è un vero e proprio sistema. Infatti, secondo la regola del “Mietspiegel”, gli affitti vengono aumentati a seconda di quello che è il prezzo medio dell’affitto in un quartiere (Kiez). Di fatto una norma di buon senso e con una solida base legale, ma il problema sorge quando una società immobiliare detiene la maggior parte degli appartamenti del quartiere. Questo permette a un privato di regolare gli affitti a suo piacimento. È il caso di Akelius (13.700 immobili), una compagnia immobiliare svedese molto forte sul mercato berlinese che sta cercando di spostare il mercato della casa verso il lusso, non solo attraverso la costruzione di nuovi appartamenti, ma anche attraverso la ristrutturazione di quelli antichi. Infatti, un secondo requisito per poter aumentare gli affitti è il cosiddetto Modernisierung, ossia la ristrutturazione. La legge dice che nel caso in cui si sia speso più di un terzo del valore della casa per la ristrutturazione allora è possibile aumentare il prezzo dell’affitto. Così, tra un inquilino e l’altro viene fatta una ristrutturazione – che nessuno controlla – e il canone viene aumentato. Una vera e propria spirale di aumenti senza controllo che nel solo 2017 ha portato ad un aumento dei prezzi delle case del 20,5%.

L’arrivo della gentrificazione
Guardare solo l’aumento degli affitti sarebbe limitarsi al dito e trascurare completamente la luna. Berlino, nonostante sia la capitale tedesca, è una città piuttosto povera con un tasso di disoccupazione dell’8%. L’aumento indiscriminato degli affitti sta lentamente facendo spostare le persone a basso reddito verso zone periferiche per lasciare spazio ai giovani europei istruiti che arrivano qui per lavorare in una start up o in una delle grandi aziende tecnologiche che affollano la Silicon Allee, una sorta della Silicon Valley di Palo Alto in California. Hipster con bici alla moda affollano i quartieri di Friedrichsain e Kreuzberg, mentre le famiglie che non riescono più a permettersi un affitto sono costrette a spostarsi al di fuori del Ring, l’anello ferroviario che collega tutta la città di Berlino. Non è solo una questione economica, ma anche culturale, la città va perdendo la sua identità per diventare un misto di europei e statunitensi ricchi che la vivono come un vero e proprio parco giochi.

Il rischio di un buco nel bilancio cittadino
Il referendum ha incontrato senza dubbio il favore dei berlinesi, che vedono di buon grado un calmiere agli affitti e si vedono sempre più estromessi dalla propria città. La paura più grande di Barbara, pensionata ed ex maestra, è quella di fare la fine di Londra. “La mia casa negli ultimi 20 anni è passata dalle mani dello Stato a cinque intermediari, tra cui banche e società immobiliari, per finire a Deutsche Wohnen. Il risultato è che il mio affitto non fa che aumentare e prima o poi mi troverò costretta a lasciarla”. A favore della nazionalizzazione si dice il 54% dei residenti e nonostante questo rievochi i fantasmi della Repubblica Democratica Tedesca, le strade di Berlino hanno visto un fiume di persone per il primo giorno di raccolta firme. L’unico problema a questo referendum potrebbe essere il bilancio cittadino. Infatti, secondo le stime della Rosa Luxemburg Stiftung, i costi della nazionalizzazione sarebbero compresi tra i 18 e i 26 miliardi di euro, un’immensità anche per la città di Berlino nella ricca Germania.

Un nuovo modello
Con la proposta di referendum “Deutsche Wohnen Enteignung” quello che si prova a fare è costruire un nuovo modo di abitare sociale. “Socializzazione vuol dire che le case passano nelle mani di un comitato cittadino e del senato che, oltre a riscuotere gli affitti a prezzi calmierati, investono in edilizia sociale e progetti cittadini” sostiene Andreas, studente. “Gli investitori devono capire che in questa città non c’è spazio per la speculazione”, continua Annette, commercialista. Quello che si prefiggono i manifestanti è un nuovo modello abitativo e sociale, dove la casa sia “finalmente un diritto inalienabile”.

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