A Napoli li chiamano quelli ‘buttati fuori a Natale’, a Milano hanno trascorso la loro vita lavorativa dovendosi continuamente riciclare per conservare il posto di lavoro nel prestigioso palazzo di via Torino, definito da molti ‘maledetto’ prima del recente arrivo di Primark. Sono i lavoratori dell’ex Fnac, azienda francese specializzata nella vendita di prodotti elettronici, libri e musica che in Italia sbarcò nel 2000, inaugurando negozi a Milano, Genova, Torino, Napoli, Roma, Verona e Firenze. Nel 2012 l’annuncio della chiusura in seguito a un dissesto, ora al centro di un’inchiesta della magistratura, che ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci persone, tra amministratori e consulenti legali. Dopo la Fnac è arrivato il marchio Trony, con la società Dps (che affidò alla NewCo Frc la gestione di quattro punti vendita, Milano, Napoli, Roma e Verona). A nulla è valso per garantire un futuro a questi lavoratori, l’accesso agli ammortizzatori sociali pagati con soldi pubblici. Nel 2018 il fallimento di Dps. Un nuovo disastro per centinaia di dipendenti, buttati fuori a Natale. Dopo un anno, a Napoli si è consumato l’ennesimo capitolo di una storia infinita. Su cui è stata presentata anche un’interrogazione parlamentare. “Abbiamo voluto accedere un faro – spiega a ilfattoquotidiano.it Alessandro Amitrano, firmatario dell’interrogazione insieme ad altri sette deputati del Movimento Cinque Stelle – sulla realtà di questi lavoratori, che nei vari passaggi hanno vissuto tantissimi disagi”.

LA PARABOLA DI FNAC – L’interrogazione parte dal principio. Dalla Fnac, azienda francese che faceva parte di Ppr (oggi Kering S.A.), gruppo nel settore del lusso che possiede marchi come Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Bottega Veneta, Alexander McQueen e altri. In Italia, nel 2000, Fnac inaugurò per primo il negozio di Milano, in via Torino (ex sede della Standa), per poi aprire altri punti vendita a Genova, Torino, Napoli, Roma, Verona e Firenze. Nel 2012 l’annuncio della chiusura da parte della multinazionale Ppr che pure aveva chiuso il 2011 con 12,2 miliardi di fatturato, 1,6 miliardi di risultato operativo ricorrente e 1,1 miliardi di utile netto. Un terremoto che coinvolse circa 600 dipendenti, tutti fra i 30 e i 35 anni, dovuto alla necessità di un riassetto del gruppo a causa della crisi economica e della conseguente flessione dei consumi. A gennaio 2013 l’assemblea dei soci di FI Holding, che controllava Fnac Italia, mise in liquidazione la società. Furono chiuse le sedi di Roma, Firenze e Grugliasco (Torino) e fu ridotto il personale a Genova, Torino, Milano, Napoli e Verona. Fuori organico finirono 385 dipendenti, sospesi in cassa integrazione.

L’INCHIESTA PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA – A ottobre 2018 la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per 10 persone, tra amministratori di Fnac Italia, della sua ex controllante Fi Holding Lux Sa e di due consulenti legali, accusati di bancarotta fraudolenta. Nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Guido Salvini, il pm Donata Costa ha chiesto il processo per gli imputati, tra cui Christophe Deshayes e Charles Claret De Fleurieu, ex presidenti del Cda di Fnac Italia, Alexandre Bonpard, allora direttore generale di Fnac Sa, e degli ex amministratori della Holding Lux Sa, Andrea Nappa, Paolo Scarlatti ed Enrico Ceccato. Per gli inquirenti sarebbero state condotte operazioni “al fine di recare pregiudizio ai creditori” della società italiana “trasformata in srl il 26 novembre 2012 e messa in liquidazione l’11 gennaio 2013”, mentre gli imputati si sarebbero “accordati tra di loro per cagionare il dissesto della società”. Dissesto in conseguenza del quale la società è stata ammessa “alla procedura del concordato preventivo con un passivo di 36 milioni di euro e l’accordo di pagare il 20% dei crediti chirografari, nonostante la capogruppo Ppr Sa avesse stanziato un finanziamento di 25 milioni di euro per Fnac Italia, con conseguente possibilità di pagamento pressoché integrale dei debiti sociali”.

IL PASSAGGIO A TRONY – La vicenda non era affatto chiusa. Ad aprile 2013 i cinque negozi ancora aperti furono ceduti a Dps Group, società dell’imprenditore pugliese Antonio Piccinno, cui fa capo il marchio Trony. La Dps costituì la newCo FRC Group che, mantenendo il marchio Fnac, prese in gestione con affitto di ramo di azienda i quattro negozi di Milano, Torino, Verona e Napoli. A luglio 2014 l’insegna Fnac fu definitivamente sostituita da quella di Trony. Neppure gli ammortizzatori sociali (soldi pubblici) a cui si ebbe accesso hanno potuto garantire nel tempo un futuro più sereno a questi lavoratori. Era dietro l’angolo, infatti, il fallimento di Dps, società con il maggiore pacchetto di aziende commerciali a insegna Trony (43 in Italia). Circa 500 i lavoratori coinvolti. Un’ennesima tegola per i quattro punti vendita (e i dipendenti, ridotti già a 105) che facevano capo alla Frc: a dicembre del 2017 il gruppo avviò la procedura di licenziamento collettivo motivandola con una situazione di crisi dell’azienda. Che i deputati firmatari dell’interrogazione parlamentare mettono in discussione in quanto, scrivono, “non troverebbe corrispondenza nel punto vendita di Napoli”, dove “gli introiti sarebbero stati costanti e rilevanti” fino alla scelta di Trony di disinvestire, rinunciando a rifornire il negozio”.

I BUTTATI FUORI A NATALE – In quei giorni, alla vigilia di Natale, Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari di Napoli, organizzò diversi sit-in e lanciò una petizione, indirizzata anche al ministro del Lavoro, che raccolse 3mila firme. Alla fine, dopo una lunga trattativa, il negozio di Napoli fu ceduto in affitto di ramo d’azienda a Piazza Italia (con il passaggio di tutti i 41 lavoratori). Il punto vendita di Genova fu il primo a chiudere, a Verona fu necessario uno sfratto, ma alla fine furono salvati 35 posti di lavoro, mentre a Milano ormai c’è chi chiama lo storico e prestigioso palazzo di via Torino 45, sede di Standa, Fnac, Trony e poi anche Billa, l’immobile ‘maledetto’. A sfidare la superstizione è recentemente arrivato il retailer irlandese Primark, ma qui i lavoratori nel corso degli anni si sono dovuti davvero reinventare: dalla vendita degli alimenti a quella dei libri e degli elettrodomestici.

IL CASO A NAPOLI – A marzo 2018, dunque, nel negozio di via Luca Giordano, al Vomero, sì è insediata la napoletana Piazza Italia, azienda d’abbigliamento con circa 300 sedi, con l’assunzione dei 41 dipendenti (successivamente impegnati nel brand di abbigliamento IntelliGent store) e l’obbligo all’acquisto del ramo d’azienda dopo 18 mesi. Il passaggio però non c’è mai stato. “Ancora una volta alla vigilia di Natale – racconta Capodanno – da un giorno all’altro, questi lavoratori si sono ritrovati la saracinesca abbassata, senza alcun preavviso”. A dicembre scorso, infatti, Piazza Italia ha comunicato ai lavoratori che, per il sopraggiunto e inatteso fallimento della Frc Group srl avvenuto il 9 agosto 2018, avrebbe restituito il 2 gennaio 2019 il ramo d’azienda. Ma a chi? In pratica a una società fallita. “Una restituzione che definirei anomala” spiega a ilfattoquotidiano.it Emanuele Montemurro di Uiltucs-Uil. In questi giorni nel capoluogo campano si sta consumando una storia infinita, con la paura dei lavoratori di buttare a mare un’esperienza di oltre dieci anni. Di fatto, i dipendenti che avevano il contratto a tempo determinato sono tornati ad essere lavoratori di Trony Italia. Questo significa che non percepiscono stipendio, né possono accedere a Tfr o ad ammortizzatori sociali perché non sono mai stati licenziati. Si trovano “in aspettativa non retribuita forzata”.

L’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE – Come ricordano i deputati grillini firmatari dell’interrogazione parlamentare presentata all’attenzione del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Di Maio, “nel corso della gestione da parte di Frc Group srl del punto vendita di Napoli si è passati dai 71 dipendenti iniziali alle 41 unità e, successivamente, tramite dimissioni su base volontaria con incentivi alla buonuscita, gli ex dipendenti Fnac, divenuti poi dipendenti ex Trony dell’ex Frc Group srl, sono diventati 38 unità”. L’11 gennaio 2019, il curatore fallimentare della Frc Group srl, ha comunicato a Regione Campania e organizzazioni sindacali che i lavoratori sono stati “posti in quiescenza, in attesa di esperire la procedura volta al licenziamento collettivo dell’intero organico”. I deputati chiedono “se il Governo sia a conoscenza” della vicenda e se non ritenga necessario “assumere iniziative, per quanto di competenza, che coinvolgano tutte le parti interessate”, con l’obiettivo di arrivare a “soluzioni meno traumatiche per i 38 lavoratori coinvolti nella complessa situazione fallimentare della società”. Passaggi societari, inchieste della magistratura, ammortizzatori e soldi pubblici spesi non li hanno ancora portati fuori dal limbo.

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