Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata. Si tratta di una frase riportata da Tito Livio e fa riferimento alla richiesta d’aiuto che Sagunto, una città romana in terra spagnola assediata dai cartaginesi, fece (invano!) alla Capitale. Mentre infatti a Roma si perdeva tempo a discutere su cosa era meglio fare, Sagunto veniva espugnata.

Nel febbraio 2019, mentre la Regione Campania ancora si consulta su quali e quanti dati del Registro tumori di Napoli centro rendere pubblici, moriamo con eccessi significativi di cancro sia per incidenza che soprattutto per mortalità come da molto tempo, e ancora oggi viene invece certificato da Roma (Istituto Superiore di Sanità). Nell’anticipazione del rapporto 2019 del Progetto Sentieri, infatti, e per un periodo di osservazione che copre ben otto anni (2006-2013), l’Iss certifica che la situazione epidemiologica dei 45 grandi siti di inquinamento tenuti sotto osservazione da ormai 13 anni sta peggiorando, sia in termini di incidenza che di mortalità, a contrasto delle quali non si fa nulla.

Laddove invece si è preso coscienza della gravità della situazione e si è agito politicamente contro il disastro ambientale (Mantova e Brescia), la situazione migliora. Va detto subito che tale preziosissimo studio, che monitorizza circa 5.9 milioni di cittadini italiani residenti nei siti industriali più inquinati del nostro Paese, vede i soli cittadini campani costituire circa il 30% di tutta la popolazione residente monitorata (1.8 milioni su 5.9).

Pertanto, se i grandi siti industriali ben noti come Taranto, Gela, Priolo, Porto Torres rappresentano le peggiori criticità ambientali industriali in assoluto, con maggiore danno alla salute pubblica ingravescente, la popolazione residente colpita nel suo complesso in questi luoghi è purtroppo di gran lunga inferiore a quella residente e colpita “a macchia di leopardo” nella sola Campania (Terra dei Fuochi), in cui si riduce ulteriormente la possibilità di intervenire con efficacia a tutela della salute pubblica proprio per l’assenza di una chiara, specifica e ben evidente fonte di inquinamento (esempio: Ilva a Taranto, Fabbrica Caffaro a Brescia).

Per tale motivo siamo stati addirittura declassati da Sin (siti di interesse nazionale con costi di bonifica a carico dello Stato) a Sir (siti di interesse regionale con costi di intervento e bonifica a carico della sola Regione), dando forse un motivo razionale dell’apparentemente ingiustificabile ostinazione con la quale in Regione si stanno intestardendo a continuare a negare l’ormai ampiamente documentato disastro ambientale, con ovvio e conseguente gravissimo danno alla salute pubblica.

È interessante notare infatti – e non poteva essere altrimenti – la perfetta coincidenza delle patologie oncologiche riscontrate in eccesso dall’Iss con quelle portate in anteprima “shock” dal principale giornale di Napoli in prima pagina ormai molti giorni fa, poi non seguita da alcuna presentazione (cancro del polmone, mesotelioma, cancro dello stomaco ma soprattutto del colon retto, malattie respiratorie nel loro complesso).

Mentre Iss si prepara a rendere pubblici in trasparenza i suoi dati, e per un periodo di osservazione sufficientemente lungo per dare loro chiara significatività statistica (2006-2013), a Napoli si sta ancora pensando a come rendere pubblici dati che saranno obbligatoriamente meno significativi, specialmente nell’incidenza, per il breve periodo di osservazione già dichiarato (soltanto 2010-2012). Soltanto tre miseri quanto lontanissimi anni rispetto ai ben otto dell’Istituto Superiore di Sanità: voluto?

Lo strumento di Epica, registro tumori realizzato pressoché in tempo reale sui propri database dai medici di famiglia – scelto per accelerare i tempi delle informazioni del nostro governo – è stato prima aspramente sconfessato dai nostri governanti regionali e subito dopo “affossato”, obbligando i medici di famiglia – rei di lesa maestà per avere dimostrato che si possono produrre dati validi e aggiornati in tempi brevi – a fare entrare anche i propri database nei ben chiusi “cassetti” degli uffici regionali.

Uffici regionali che, al contrario dell’Iss, non producono dati da 30 anni a Napoli centro, ma soprattutto che, quando i dati vengono prodotto da altri (Roma-Iss, Epica-Casoria, Angir-Comune di Napoli) li contesta pure. Si contesta tutto “scientificamente” pur di evitare di urlare ai governanti locali, come sta facendo invece correttamente l’Istituto Superiore di Sanità, “fate presto!”.

Io, come ammalato di cancro, come competente tecnico perfettamente consapevole della situazione reale e degli ormai ridicoli tentativi di insabbiamento dei “negazionisti”, non posso fare altro che denunciarlo pubblicamente finché avrò vita, salute e sino a quando questa prestigiosa testata giornalistica mi darà spazio di farlo, rispetto al silenzio assoluto ormai imposto ai nostri media locali.

Si è cercato di dimostrare che Terra dei Fuochi in Campania non esiste perché le nostre pummarole godono di ottima salute e chiunque come me le metta a rischio va bollato, bloccato, umiliato e deriso. Purtroppo Terra dei Fuochi esiste eccome, e si è anche modificata, sia in Campania che in tutta Italia, con i maxi roghi dei grandi impianti di stoccaggio legale.

Al dolore quotidiano della mia sofferenza, come ammalato di cancro del 2018 – che sa che sarà censito non prima di altri cinque anni – devo aggiungere quello di vedere che la discussione ambientale nella mia meravigliosa città d’arte, che soffre di cosi gravi problemi ambientali, si è ridotta alla discussione sulla compatibilità estetica e sul danno alla salute pubblica delle “griglie” di aerazione della costruenda metropolitana cittadina nella storica piazza del Plebiscito. Dum Neapolis consulitur, Ignium Terra expugnatur. Che Dio ci perdoni!

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