Reintegrazione immediata nel posto di lavoro, versamento di tutte le retribuzioni dovute e rimborso delle spese processuali. Sono i rimedi con cui il giudice del lavoro di Milano, Eleonora De Carlo, ha condannato la catena di supermercati Gs a risarcire Luciano Pasetti, 52 anni, ausiliario alle vendite al Carrefour market di viale Famagosta, periferia sud della città, licenziato senza giusta causa. Il 4 aprile scorso, dopo 32 anni di servizio, Pasetti era stato sollevato dall’incarico con effetto immediato. Il motivo? Qualche giorno prima, il 16 marzo, avrebbe maltrattato un cliente abituale del negozio, rifiutandosi di prelevare per lui una cassa d’acqua dallo scaffale. Nella lettera di contestazione firmata dall’azienda la ricostruzione è impietosa: “Io non salgo sulle scale e non ci penso proprio a prenderle l’acqua, si cerchi una scala e vada su lei”, avrebbe detto al cliente. Il quale, “su tutte le furie”, avrebbe dichiarato al direttore di aver “già ricevuto, in un’altra occasione”, un’analoga risposta da Luciano, e di essere rimasto “basito dal suo comportamento”. Aggiungendo di essersi sentito trattato “a pesci in faccia” e “mortificato come mai prima, in quanto persona anziana e con limitazioni fisiche”.

Pasetti non ci sta e da subito offre un’altra versione. “Ho detto al cliente che non potevo sollevare il peso per i miei problemi alla schiena”, dice al fattoquotidiano.it. E in effetti una prescrizione del medico del lavoro gli impone di evitare la movimentazione manuale di carichi superiori a 7 kg, a causa di un’ernia del disco. “Sono andato a cercare un mio collega per prendere l’acqua, ma in quel momento erano tutti occupati. Ne ho trovato uno nel giro di 4-5 minuti, evidentemente troppi per il cliente, che era già in cassa a protestare”, prosegue. Lui considera la faccenda chiusa, ma, come dirà in seguito, è solo “l’inizio della fine”. La sera stessa riceve la lettera di contestazione, poco dopo quella di licenziamento. È una mossa, però, che non passa inosservata: ad aprile e maggio si tengono decine di presìdi e picchetti in suo sostegno davanti ai supermercati Carrefour. Luciano, infatti, è un sindacalista di lunga data, storico membro della Rsu del market di Famagosta e delegato per la sicurezza, prima nella Cgil e poi nei sindacati di base. Viene lanciata una petizione per il suo reintegro che raccoglie oltre mille firme, tra cui quelle di molti clienti. Una di loro, addirittura, scrive alla direzione del supermercato: “So benissimo che questa mia mail non cambia le sorti del signor Pasetti, però mi preme dire che lo conosco da molto tempo, in quanto Vostra cliente da tempo immemorabile, è persona efficiente e mi sembra strano che possa aver maltrattato un cliente”. Il culmine è il 14 aprile, quando decine di manifestanti bloccano per l’intera giornata il rifornimento dei prodotti freschi nel punto vendita. Il 28 aprile si tengono altri tre picchetti, davanti ai supermercati di Famagosta, viale Monza e Bellusco, che costringono l’azienda a programmare la consegna del fresco in piena notte.

Nel frattempo inizia la causa in tribunale. Anche qui, in ognuna delle cinque udienze, Luciano si presenta accompagnato da amici e colleghi. Il giudice tenta una conciliazione, che fallisce: “Carrefour mi ha offerto 5.800 euro lordi, due mensilità e mezzo, il minimo previsto dalla riforma Fornero. Una cifra irrisoria e offensiva”, la definisce il dipendente. Così si procede all’ascolto dei testimoni, ed è qui che la versione dell’azienda inizia a vacillare: il cliente, infatti, sconfessa gran parte di quanto scritto nella lettera di contestazione. A partire dalla frase incriminata, che è confermata solo in parte: “Mi ha detto di andare a trovare una scala e prendere l’acqua”, dice davanti al giudice. Una versione edulcorata, che comunque Luciano insiste a negare.

Ma soprattutto, il cliente non conferma il fatto che Luciano sia stato recidivo nel maltrattarlo: “Tale circostanza è priva di riscontro nelle parole del teste, in quanto quest’ultimo ha fatto solo riferimento a una precedente occasione in cui un collega del ricorrente gli ha detto che non poteva salire sulla scala, perché se si fosse fatto male sarebbe stato un problema per la società”, scrive il giudice nell’ordinanza datata 24 dicembre. Ma il cliente non ricorda neanche “di aver detto che i clienti vengono trattati a pesci in faccia”, o “di aver detto al direttore che io sono una persona anziana con problemi di salute”, si legge nel verbale d’udienza. E in effetti, scrive il giudice, al momento del fatto la persona in questione “aveva solo 57 anni di età: risulta così privo di riscontro anche il riferimento alle condizioni personali del cliente, come menzionate nella lettera di contestazione disciplinare”. E poiché l’unico testimone diretto della vicenda è proprio il cliente, conclude il giudice, “deve ritenersi che nel caso di specie difetti la giusta causa di licenziamento, non avendo la società resistente assolto all’onere della prova”.

“Ora questa storia dovrà essere presa come riferimento per ogni battaglia contro i licenziamenti politici”, afferma Pasetti. “L’azienda voleva togliersi di torno uno dei dipendenti più anziani, che aggregava i lavoratori e combatteva per i diritti di tutti”. A partire, dice, da quello a una temperatura adeguata nei mesi invernali: “Ogni inverno a partire dal 2006 ho denunciato che a causa del malfunzionamento della caldaia lavoravamo con 3 o 4 gradi in meno rispetto alle previsioni di legge. Ho combattuto perché i miei colleghi non fossero costretti a scaricare le merci sotto la pioggia, o a restare fermi in piedi per interi turni quando tocca loro l’assistenza alle casse automatiche. E tutto ciò mi ha fatto ricevere dieci lettere di contestazione negli ultimi tre anni”.

La versione dell’azienda, diffusa in una nota precedente alla decisione, è diametralmente opposta. “Carrefour Italia respinge fermamente le infondate accuse mosse dall’ex dipendente Luciano Pasetti all’Azienda, basate esclusivamente sulla ricostruzione fantasiosa della controparte”, afferma il gruppo. “Da almeno 10 anni, il signor Pasetti ha adottato anche verso i propri colleghi in decine di occasioni comportamenti inappropriati che hanno generato numerosi richiami verbali, formali e sanzioni che hanno portato alla fine alla risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa”. Che tale, però, non era, almeno secondo il giudice di primo grado. Essendo l’ordinanza immediatamente esecutiva, a Luciano Pasetti dovrebbero riaprirsi a breve le porte di viale Famagosta. “Ma se non sarà così, saremo noi a mobilitarci con una campagna di “obbedienza civile” per far rispettare la sentenza”, anticipano compagni e amici.

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