di Stefano Di Bucchianico *

Nei modelli economici della teoria dominante non è concepibile che politiche fiscali coraggiose guidino la crescita. Bisogna guardare ai modelli post-keynesiani. Un recente dibattito tra Larry Summers e Joseph Stiglitz apparso su Project Syndicate ha riacceso i riflettori sulla teoria della stagnazione secolare (in seguito SS). Successivamente, Paul Krugman ha preso parte alla diatriba con un intervento sul suo blog sul New York Times. Come si vedrà dalla ricostruzione del dibattito, a confronto vi sono la posizione di Stiglitz, che guarda alla stagnazione come risultato di un’inadeguata politica fiscale espansiva, e quella di Summers e Krugman, i quali da un lato ritengono necessario uno stimolo fiscale in situazioni di trappola della liquidità, ma dall’altro giudicano la polemica di Stiglitz priva di contenuti realmente nuovi rispetto a quanto da loro proposto.

Il dibattito

La SS, coniata originariamente da Alvin Hansen (1939) durante gli anni 30 a seguito della Grande depressione che colpì gli Stati Uniti, è stata ripresa e riaggiornata negli ultimi anni da Larry Summers (2014, 2015). Krugman (1998) ne propose una versione embrionale già nei tardi anni 90, discutendo le possibili cause della perdurante stagnazione giapponese. In seguito ha sostenuto la pressoché totale sovrapponibilità tra la sua spiegazione e quella data da Summers. Nella più recente versione di Summers, la rilevanza della politica fiscale torna in auge: in situazioni di stagnazione persistente essa è giudicata preferibile rispetto alle misure di politica monetaria che convenzionalmente agiscono tramite un abbassamento del tasso di interesse di riferimento controllato dalla Banca centrale. Tale prescrizione di politica economica sarebbe preferibile, in quanto la politica monetaria avrebbe esaurito la propria efficacia una volta raggiunto il cosiddetto “zero lower bound” sul tasso nominale dell’interesse di politica monetaria.

Nel dibattito menzionato in apertura Stiglitz ha criticato la lettura data dai teorici della SS della non soddisfacente ripresa dell’economia Usa nel periodo post-Grande recessione del 2008, ossia che i bassi tassi di crescita testimoniati dall’economia americana sarebbero una situazione destinata a permanere. Stiglitz argomenta come la lenta ripresa sia stata dovuta a uno stimolo fiscale (rappresentato dagli 800 miliardi di dollari del piano Obama) insufficiente, non quindi a un’inerente tendenza alla stagnazione. La SS sarebbe perciò sostanzialmente una scusa per coprire la responsabilità attribuibile alle insufficienti politiche di domanda del governo.

Nelle sue parole: “L’improvviso incremento del deficit statunitense, da circa il 3% a quasi il 6% del Pil, dovuto a un mal congegnato sistema di tassazione regressivo e a un aumento della spesa bipartisan, ha spinto la crescita intorno al 4% e portato la disoccupazione al livello più basso degli ultimi 18 anni. Queste misure possono essere mal concepite, ma dimostrano che con un sufficiente stimolo fiscale il pieno impiego può essere raggiunto, anche se i tassi di interesse salgono ben al di sopra dello zero”.

Summers ha risposto a tali argomentazioni sostenendo che la teoria della stagnazione secolare non ha come idea di fondo l’inevitabilità di una persistente crisi, ma al contrario cerca di porre l’attenzione sulle politiche fiscali come soluzione principale da adottare. A suo dire, seppur lo stimolo fiscale non sia stato pienamente soddisfacente, esso era il massimo ottenibile all’epoca date le condizioni politiche. Concludendo la risposta a Stiglitz, Summers tenta una sintesi tra le due posizioni, puntualizzando però circa l’affidabilità della propria impostazione teorica: “Anche se siamo in disaccordo sui passati giudizi di stampo politico e sull’uso del termine ‘stagnazione secolare’, sono lieto che un eminente teorico come Stiglitz concordi con ciò che intendevo enfatizzare con la riproposizione di quella teoria: non possiamo contare su politiche del tasso d’interesse per assicurare il pieno impiego. Dobbiamo sforzarci di pensare a politiche fiscali e misure strutturali per supportare una sostenuta e adeguata domanda aggregata”.

Continua su economiaepolitica.it

* dottore di ricerca Università di Roma Treua

Articolo Precedente

Lo spread è trendy e ne parlano tutti. Ma è il Cds che prevede davvero il futuro

next
Articolo Successivo

Malafinanza, la soluzione del governo è rimandare. Con buona pace dei risparmiatori

next