Il River Plate batte 3-1 il Boca Juniors e conquista la Copa Libertadores al Santiago Bernabeu. Per conoscere il nome dei campioni del Sud America 2018 ci sono voluti 120 minuti di gioco riscaldati da due squadre scosse più dal timore della sconfitta che dal sapore della vittoria. A trionfare, alla fine, sono i Millionarios del presidente Rodolfo D’Onofrio, sorridente dopo “l’esproprio” della finale al Monumental. Mentre il club di Daniel Angelici incassa il secondo ko in due giorni. La bocciatura del ricorso al Tas non ha infatti regalato agli Xeneizes la vittoria al tavolino, recapitandogli invece una sconfitta sul campo.

Sono solo 90 minuti  – I continui rinvii del match rimpolpano le due rose, con il River che ritrova l’attaccante Scocco e il Boca che riabbraccia il portiere Andrada e l’esterno Pavon. Tuttavia, se i bosteros confermano il modulo dell’andata, i “padroni di casa” lo stravolgono passando alla difesa a quattro. La posta in palio rende la gara del Bernabeu molto più sporca rispetto a quella d’andata. I boquensi attendono gli avversari nella propria metà campo, creando aria alle spalle dei difensori. E al 44esimo Nandez lancia un’idea di contropiede a Benedetto, che rompe l’equilibrio bevendosi i centrali rioplatensi. Nella ripresa il River si scrolla di dosso l’imbarazzo della prima frazione e sale di battiti. Poi i due cambi che orientano il match. Gallardo osa e manda in campo l’esterno colombiano Quintero. Schelotto, invece, sceglie Abila per Benedetto. Il nuovo entrato non riesce però a replicare il lavoro del Pipa e i Millionarios salgono in cattedra. Pratto, già protagonista alla Bombonera, prima invoca un rigore, poi piazza la zampata che ricuce il risultato.

Anzi no, altri 30 – Nonostante il pareggio e l’inerzia a favore, il River chiude i tempi regolamentari con interventi sciocchi e ruvidi. Paradossalmente, però, al 92esimo è un centrocampista del Boca, Barrios, a rimediare il secondo giallo della gara. Dieci contro undici e con il solo Gago come interprete puro della mediana, gli ospiti perdono terreno e coraggio. Il River alza il baricentro e comincia il suo assedio. L’ingresso di Tevez non sortisce alcun effetto. E a scavare la fossa agli avversari è proprio Quintero, che ribalta il risultato con una prodezza mancina. Quelli che seguono sono minuti di assoluto caos, con Mayada che sfiora un autogol, con il portiere di casa Armani colto da crampi e il dirimpettaio Andrada slegato dal suo ruolo di estremo difensore. L’infortunio di Gago – all’ennesimo crack in un Superclasico, forse l’ultimo della sua sfortunata carriera – e il palo colpito da Jara a 15 secondi dalla fine cancellano le speranze boquensi ben prima che il Pity Martinez concluda a porta ormai sguarnita per il 3 a 1 definitivo.

Vince soprattutto Gallardo – Pur privato del fattore campo, il River arricchisce la propria bacheca con la quarta Libertadores. Palacios, novello sposo del Real Madrid, non sfigura nel salotto di Florentino Perez. Ma il vero protagonista è Marcelo Gallardo. Pur confinato in tribuna, il mister rioplatense dismette definitivamente il soprannome di Muñeco (Bambola) per indossare i gradi di Napoleon. Già allenatore più vincente dei Millonarios a livello internazionale, l’imperatore del Sud America diventa infatti il primo riverino a conquistare due Copas (l’altra nel 2015), accomodandosi accanto a El Pelado Ramon Diaz sul trono di tecnico più titolato della squadra di Nuñez. Il 42enne entrenador argentino cambia sistema con agilità, adattandosi all’avversario e cavando oro da una panchina tutt’altro che ricca. C’è tempo però per un’altra impresa. Il 18 dicembre, a Doha, inizia il Mondiale per club. E chissà mai che non stupisca ancora.

Perde soprattutto Schelotto – Giunto alla resa dei conti con il medesimo ruolino di marcia dei cugini (sei vittorie, sei pareggi e una sola sconfitta), il Boca poteva contare su un’attitudine più copera dei rivali, avendo disputato dieci finali continentali e cullando il sogno di raggiungere l’Independiente in vetta all’albo d’oro a quota sette. Il solo Guillermo Barros Schelotto poteva vantare ben quattro trofei conquistati da giocatore e aveva nel mirino il record di primo allenatore a raggiungere la vetta sudamericana dopo averla già toccata sul campo. Ad affossare le ambizioni azul y oro, tuttavia, sono state proprio le scelte del mister. La sostituzione di un tracimante Benedetto resta un rebus irrisolto, aggravata poi da un’immotivata frenesia nella gestione tattica e mentale del match. L’espulsione di Barrios e la rottura del tendine d’Achille di Gago sono infine l’ennesima beffa per una squadra che è riuscita nell’ingloriosa impresa di farsi rimontare per ben tre volte fra andata e ritorno. Unica nota positiva: ora l’Apache Carlos Tevez potrebbe trovare nuovi stimoli e decidere di rimandare un ritiro già annunciato in caso di vittoria.

Finalmente la passione  Con mezzo gotha del calcio europeo sugli spalti – da Messi a Griezmann passando per una folta delegazione della Juventus – e 25mila tifosi per parte, River e Boca hanno così portato a termine la finale (più lunga) del secolo. Ventotto giorni e infinite polemiche dopo la gara d’andata, il calcio è tornato a parlare regalando al popolo argentino la sua partita. Larga parte del merito va all’efficacia di un’organizzazione finalmente in grado di annullare il pericolo barras bravas, rispedendo al mittente i tifosi violenti. Voli distinti hanno inoltre accompagnato a Madrid i sostenitori dei due club, dotando 10mila supporter di uno speciale braccialetto identificativo. L’imponente dispiego di forze dell’ordine (oltre 5mila agenti) e la segnalazione di fan zone separate lungo il Paseo de la Castillana hanno infine garantito che gallinas e bosteros non venissero a contatto, lasciando al River la possibilità di festeggiare sino a tarda notte alla Puerta de Sol. Mentre all’interno dello stadio i giornalisti hanno potuto accartocciare i volantini recanti istruzioni su come comportarsi “nel caso in cui i vestiti prendano fuoco” e godersi lo spettacolo. L’Argentina ha finalmente avuto il suo Superclasico.

Twitter: @Ocram_Palomo

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