Noi antisalviniani dovremmo smetterla di (s)parlare di Salvini. Un po’ perché, sin qui, abbiamo solo fatto il suo gioco. Appena lui dice una qualunque fesseria – e a questo punto è chiaro che lo fa apposta – noi subito ci strappiamo le vesti: così contribuendo solo a diffonderla (la fesseria) e spendendo un patrimonio per rammendarle (le vesti). Ma soprattutto dovremmo smetterla perché così finiamo per dargli troppa importanza, gonfiando ulteriormente un ego, già smisurato di suo. Se va avanti così, uno di questi giorni vorrà invadere la Polonia, poi qualcuno gli spiegherà che non confina con l’Italia e allora vorrà comunque invadere qualcos’altro, l’Albania o Malta, quello che càpita, e poi saranno comunque cavoli nostri.

Voi direte che mi sto contraddicendo, perché ne sto parlando anch’io, di Salvini. Vero, ma ho addirittura tre buone ragioni per farlo.

1. La prima è che più si parla di un politico e più rapidamente passa di moda: guardate Renzi, che ormai non farebbe notizia neanche se si desse fuoco in piazza Tienanmen. Nel caso di Salvini, è facile prevedere che basteranno ancora sei mesi di questa scervellata esposizione mediatica – alla quale anche il mio post machiavellicamente contribuisce – e la gente non ne potrà definitivamente più. Al solo sentirlo nominare impugnerà il kalashnikov, arma che nel frattempo lui avrà fornito a tutti, come i bazooka, i mortai e le scimitarre.

2. La seconda ragione è che una ricerca del Censis ha spiegato perché personaggi del genere godono del loro quarto d’ora di notorietà: la turista a Predappio con la maglietta su cui sta scritto Auschwitzland, gli utenti del metrò di Roma che picchiano la rom con bebè, la controllora sui treni che inveisce contro gli immigrati, ecc. Voi pensavate si trattasse di una malattia mentale contagiosa – il Censis la chiama sovranismo psichico – curabile solo con psicofarmaci, ma forti. Invece no: il fatto è che ci stiamo tutti incattivendo: persino io, che di natura sarei un pezzo di pane. In particolare, l’evidenza che non usciremo mai dalla crisi con ricette miracolistiche, tipo quelle del governo giallo-verde, ci ha definitivamente incarogniti.

3. La terza ragione riguarda direttamente Salvini e merita qualche parola di più. Matteo nostro non è il primo leader politico che ha fatto fortuna con la cattiveria. Gengis Khan, Tamerlano, Attila, soprattutto Attila, sono i suoi più ovvi precursori. Anche il suo idolo Putin, quando dà il cinque al principe saudita che scioglie i giornalisti nell’acido, si avvicina al Nostro, ma senza raggiungerlo. Salvini è andato molto più in là dei suo predecessori perché ha inventato il cattivismo.

Cos’è questo “ismo” di cui sinora avevamo fatto fortunatamente a meno? Ma l’opposto del buonismo, ovvio. Ad esempio, in questo momento sono in treno e l’altoparlante ci sta avvisando, noi pendolari di lungo corso: “Fate attenzione a non inciampare scendendo dal treno” (giuro). Questo è appunto un esempio di buonismo (o di scemenza, fate un po’ voi). Bene, Salvini non direbbe mai una cosa del genere. Se uno di questi giorni, dopo aver indossato tutte le divise possibili e immaginabili, anche di fantasia, indosserà mai la divisa di ferroviere, la metterà più o meno così: “Ma perché non stai attento a dove metti i piedi, fottuto viaggiatore radicalchic?”. Perché Salvini è un mago della comunicazione. Specie nei rapporti con l’Europa, con i mercati e con tutte quelle istituzioni internazionali che, come direbbe lui, ci tengono per le palle. Tutti capiscono che bastano due o tre battute delle sue e subito le curve dei sondaggi e dello spread cominciano a inseguirsi l’una con l’altra, ululando alla luna. Lui no, non vuole capirlo. E proprio in questo consiste il suo genio cattivista e la sua abissale differenza da tutti noi, fottuti viaggiatori radicalchic.

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