“Smanie d’altruismo”: due parole che riassumono una lettura del mondo. E che sono uno schiaffo in faccia a Silvia Romano e alle migliaia di giovani che fanno scelte controcorrente. E poi magari ci lamentiamo della “perdita di valori” dei “giovani d’oggi”.

Stupisce che ad esprimersi così sia stato Massimo Gramellini: spesso accusato a sua volta di buonismo, ora con due parole condanna una giovane senza conoscerla, senza sapere nulla della sua storia e delle sue scelte. Nemmeno io conosco Silvia Romano, né tantomeno la onlus per la quale si trova in Kenya. Mi guardo bene, dunque, dall’esprimere giudizi. Mi limito a seguire la vicenda col fiato sospeso, a pregare che finisca tutto per il meglio, a leggere e ascoltare le news e a cercare di discernere la verità dalle bufale in circolazione.

Non conosco Silvia, dicevo, ma conosco e ho incontrato tanti volontari e cooperanti, in Africa, di tutte le età e spinti dalle motivazioni più diverse. Io per prima sono estremamente critica verso un certo modello di cooperazione che ormai è datato e che andrebbe riscritto da capo a piedi. Ma se andate sulla pagina Facebook dell’associazione Africa Milele, troverete un post datato 21 ottobre che dice esattamente questo, scritto in maniera molto chiara.

Africa Milele, dunque, questi principi di dignità e rispetto li ha molto chiari. Non sembra proprio potersi ascrivere alla categoria delle onlus/ong profittatrici o generatrici di problemi.

Inoltre, accusare loro e Silvia di imprudenza non è corretto. C’è un discrimine tra l’avventatezza e il rischio da mettere in conto, tra l’andarsela a cercare e la fatalità. La zona non è affatto una zona “rossa”: Silvia non era al confine con la Somalia, né nelle enormi baraccopoli di Nairobi (dove sì, la violenza è all’ordine del giorno); era in un piccolo villaggio e lavorava coi bambini. Certo, sappiamo bene che un muzungu è di per sé sempre un possibile target, ma allora nessun turista dovrebbe più metter piede a Malindi o a Mombasa. A Nairobi ricordo che ci raccomandavano di girare senza borsa, senza orologi o catenine: la capitale del Kenya, come altre megalopoli, è preda di una feroce criminalità comune. La criminalità dei disperati. Lì sì che bisogna stare attenti. Così nelle zone vicine alla Somalia. Nel resto del paese, resta una dose di imprevedibilità con cui fare i conti.

Ricordate l’assalto all’università di Garissa nel 2015, con 148 morti, gli attacchi degli Al-Shabaab a Mpeketoni nel 2014 (60 morti) o quello al Westgate Shopping Mall in piena capitale nel 2013? O la turista uccisa nella sua villa a Malindi lo scorso anno? E quindi bisogna smettere di andare in Kenya? Sarebbe come dire che i turisti stranieri non devono più venire in Italia perché c’è la mafia, o perché crollano i ponti… Lo stesso sito Viaggiare Sicuri della Farnesina dice di evitare solo la zona di confine con la Somalia (“prevalentemente nelle aree di Garissa, Mandera, Wajir e nel retroterra di Lamu”) e quella a nord al confine con l’Etiopia. Per il resto, consiglia di preferire gli spostamenti in aereo piuttosto che su strade insicure e di prestare la massima attenzione nelle grandi città. E Silvia tutte queste indicazioni non le ha assolutamente violate.

Non ha compiuto scelte avventate. Ma scelte coraggiose. Non il “coraggio” di chi si mette a rischio. Ma il coraggio (vero) di chi rinuncia alla vita ovattata per una vita autentica. Le immagini dell’umile e spoglia stanza di Silvia le ha mostrate oggi al Tg1 Enzo Nucci, l’unico corrispondente Rai nel continente africano, che finalmente (si fa per dire) ha qualcosa da raccontare (visto che la sua presenza a Nairobi non è molto utilizzata – per usare un eufemismo – e invece di raccontare l’Africa ci sarebbe estremo bisogno). Si fa presto a dare dello sprovveduto a chicchesia, da dietro una tastiera. Ma l’avete vista al Tg1 la scarna camera di Silvia? Credete davvero che una ventitreenne italiana rinuncerebbe ad un lavoro in palestra, alla vita comoda, alle uscite con gli amici per andare a vivere in un posto simile, se non avesse una forte, fortissima motivazione? Silvia, che spende la sua giovinezza e il suo entusiasmo per “aiutarli a casa loro”, si merita davvero questa pioggia di giudizi feroci? O non stiamo così in realtà mettendo a nudo la nostra pochezza, la nostra imbecillità, la nostra mancanza di umanità davanti ad una piccola-grande scelta di vita?

Un’altra considerazione mi preme: leggo tra i commentatori che spesso le piccole associazioni si muoverebbero ingenuamente. Non lo credo: dalla mia esperienza spesso sono proprio le piccole onlus a metterci anima e corpo, a lavorare seriamente, a investire umanamente ed economicamente. Non hanno protezioni, non hanno le spalle coperte. Quindi non possono proprio permettersi scelte avventate. Ne verrebbero schiacciate.

Allora proviamo per una volta a non giudicare, a non insultare senza motivo. Forse non è un caso che proprio ieri l’Office of the High Commissioner for Human Rights (OHCHR) delle Nazioni Unite ci abbia duramente ripreso per l’impennata di razzismo nel nostro paese. Migliaia di anni di civiltà gettati alle ortiche.

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Silvia Romano, è più complicato di un ‘se l’è cercata’. Soprattutto se detto da dietro una scrivania

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