di Renato Foschi, psicologo e psicoterapeuta

La morte di Desirée Mariottini è stato un evento che ha sconvolto tutti coloro che sono affezionati a San Lorenzo, quartiere popolare di Roma. Per motivi prima di studio e poi di lavoro, da circa 30 anni vivo quasi giornalmente nel quartiere. Insegno alla Sapienza nello stabile di Psicologia a via dei Marsi e mi sono trovato varie volte a camminare per via dei Lucani. In molti hanno ricordato che San Lorenzo è un quartiere popolare e spesso solidale, ma questo rende ancora più incomprensibile l’accaduto. Quasi nessuno finora ha scritto che San Lorenzo è anche stato il quartiere romano dove, nel 1907, Eduardo Talamo – che dà il nome alla piazza a pochi passi da via dei Lucani e “benemerito” delle case popolari – chiamò Maria Montessori in via dei Marsi ad aprire la sua prima Casa dei Bambini (la “Casa” è ancora lì), circa cinquanta anni fa Giovanni Bollea vi fondò l’Istituto di Neuropsichiatria infantile, negli anni Ottanta, trovò finalmente una sede il primo corso italiano di laurea in Psicologia, sempre a via dei Marsi, oggi c’è anche la sede del corso di laurea per divenire assistenti sociali. C’è poi il parco dedicato a Sante De Sanctis, psicologo e psichiatra, ecc. Se elenco il nome degli “psi” che hanno camminato a pochi metri da via dei Lucani ne esce una lista formidabile. Voglio citarne uno per tutti, ma molto significativo: Marco Lombardo Radice, autore, insieme a Lidia Ravera, del troppo velocemente dimenticato Porci con le ali. Marco Lombardo ha lavorato prima a Psicologia e poi a Neuropsichiatria infantile.

Con in mente tutto ciò, ho chiesto ai miei studenti di Storia e metodi dell’intervento clinico – quasi tutte studentesse della magistrale in psicopatologia – di aiutarmi a scrivere. Ne è venuto fuori un bel confronto e i contenuti che seguono sono sostanzialmente formulati da loro che vivono ogni giorno il quartiere. Molte mie studentesse hanno paura, alcune riferiscono di aver subito più volte tentativi di furto o una qualche forma di aggressione, nessuna tuttavia ritiene che attribuire la colpa esclusivamente agli stranieri sia corretto, anzi credono che sia per lo più una strumentalizzazione. Vivono come inutili e dannosi i controlli, scattati dopo il fatto di Desirée, sui giovani “che vogliono solamente bersi una birra di sera in pace”. Tutte concordano nel ritenere invece necessaria una riqualificazione del contesto che per loro -e come evidenziato anche dalla ricerca psicosociale- influisce e determina gli stati mentali delle persone che vi abitano. Questo livello di analisi tuttavia non ci ha soddisfatti. L’attribuzione mediatica delle responsabilità di ciò che è avvenuto a San Lorenzo è sembrata a tutti parziale. Può bastare attribuire la colpa alla criminalità, italiana o straniera, alla violenza maschile, alla fatiscenza delle strade, alla mancanza di controllo? Tutti fatti che seppure reali, rischiano solo di semplificare i problemi, mettere in allarme, far agire in emergenza. Attribuire colpe senza dar conto della complessità della situazione fa automaticamente sparire una lettura psicologica e allontana dalle soluzioni.

Chi si occupa di psicologia, e per primi i ragazzi che la studiano, non ha potuto fare a meno di notare che quasi nessuno dei commentatori si è fermato a riflettere sulle questioni inerenti le difficoltà evolutive proprie dell’adolescenza. Come se non esistesse più il celebre turmoil adolescenziale. È scomparso dal dibattito pubblico un discorso psicologico sulle dinamiche dell’adolescenza. Non esistono più i “porci con le ali”? Effettivamente pare che oggi esistano solamente o porci, o angeli. Tutti i particolari emersi in questi giorni e i servizi giornalistici sui ragazzi che frequentano la movida di San Lorenzo ci ricordano invece che siamo di fronte a persone spesso fragili, con alle spalle dinamiche complesse, bisognose di cure. I miei studenti pensano, e io con loro, che gli interventi attuati per risolvere il problema siano invece soprattutto finalizzati a difendere la società dagli stessi ragazzi e non a rendere sicuri psicologicamente coloro che, per mille motivi, non hanno certezze, non si sentono al sicuro, non sono in grado di difendersi. I ragazzi hanno bisogno di una formula magica, composta da amici, luoghi, genitori, professori, professionisti della salute mentale che li sostengano in un momento dello sviluppo in cui l’adolescente tende alla sperimentazione. Questo ritengono i miei studenti.

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“Nella nostra pasticceria lavora Stefano, ragazzo Down. Per noi è insostituibile. Un’azienda che si rispetti deve includere”

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