di Luigi Manfra *

La Confagricoltura ha di recente protestato contro l’Unione europea, come del resto aveva già fatto nel 2016, perché la Tunisia ha chiesto alla Ue di prorogare l’accordo – stipulato in  quell’anno – che prevedeva la possibilità di esportare 35mila tonnellate d’olio esente da Iva in Europa. Alla protesta ha dato man forte la Coldiretti aggiungendo che si tratta “di produzioni a bassa qualità svendute a prezzi insostenibili, ma commercializzate dalle multinazionali sotto la copertura di marchi nazionali ceduti all’estero per dare una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati, a danno dei produttori e dei consumatori”.

Per verificare se queste accuse sono fondate è utile ricordare le dimensioni del mercato dell’olio italiano. Sulla base dei dati Ismea, nel 2017 l’Italia ha importato 531mila tonnellate di olio, primo importatore al mondo, e ha esportato 421mila tonnellate, secondo esportatore dopo la Spagna. Nello stesso anno l’Italia ha prodotto 429mila tonnellate di olio d’oliva a fronte di un consumo interno pari a 480mila tonnellate. Appare evidente da questi dati che le importazioni servono a coprire il deficit di fabbisogno interno soltanto in minima parte, mentre la parte maggioritaria viene miscelata dalle imprese italiane per poi venderlo sui mercati internazionali.

I Paesi che esportano l’olio in Italia secondo gli ultimi dati annuali disponibili (2017) sono nell’ordine: la Spagna con 394mila tonnellate, la Grecia con 77mila e la Tunisia con 33mila, le cui vendite rappresentano appena il 6% del totale. Se da un punto di vista delle quantità è difficile pensare che una percentuale così esigua possa destabilizzare il mercato italiano, forse sarà utile esaminare le quotazioni dei diversi oli mediterranei per verificare se esiste una concorrenza in base al prezzo. L’andamento dei prezzi medi internazionali relativi al mese di ottobre 2018, evidenziati dall’Ismea, oscilla dai 2,63 euro al kg dell’olio tunisino ai 2,82 di quello spagnolo, con una differenza minima pari allo 0,5%.

Allora cosa si nasconde dietro questo attacco all’Ue per l’accordo con la Tunisia? In realtà la protesta delle organizzazioni dei piccoli produttori più che contro l’olio tunisino sembra rivolto alle grandi imprese del settore, potenziali acquirenti dell’olio, che lo utilizzano per vendere all’estero oli miscelati, come conferma esplicitamente Michele Bono, titolare della Oleifici Bono di Sciacca, il più grande produttore siciliano. L’olio tunisino, ma ancor più quello spagnolo, che rappresenta il 75% del totale delle importazioni italiane, costano entrambi meno di quello italiano, che all’ingrosso viene venduto a 4-5 euro al kg. Le piccole imprese sono quindi costrette spesso a vendere il loro prodotto sotto costo. Ma la Spagna è un Paese comunitario, e alcune grandi aziende italiane come Carapelli, Bertolli e Sasso fanno parte del gruppo spagnolo Deoleo, il più grande produttore di olio al mondo. Meglio quindi prendere a bersaglio la Tunisia, il cui ruolo sul mercato italiano è marginale, anche se il vero obiettivo di questo attacco è la politica delle grandi imprese italiane del settore che rendono la vita difficile ai piccoli produttori.

Il problema reale è la mancanza di una filiera dell’olio extravergine italiano che in maniera efficace valorizzi la produzione nazionale, che per il 90% è concentrata nel sud del paese. Ai produttori del Mezzogiorno deve essere offerto un percorso alternativo che consenta loro di evitare che il proprio olio d’oliva extra vergine venga acquistato sottocosto da intermediari al servizio delle grandi aziende che lo imbottigliano, miscelandolo, per distribuirlo poi nel mercato nazionale e in quelli esteri. A tal fine va costruito un nuovo marchio certificato, che al fianco degli oli dop e igt di eccellenza – che rappresentano una quota piccola del totale – garantisca in maniera inequivocabile l’origine nazionale del prodotto, utilizzando tutti gli strumenti di comunicazione e di marketing necessari.

In tal modo si avrebbe una suddivisione chiara del mercato, soprattutto per il consumatore, che potrebbe optare per un prodotto genuinamente italiano a un prezzo più elevato oppure scegliere un prodotto miscela di oli extravergine di origine estera a prezzi più contenuti. Il problema, se non avviato a soluzione, si aggraverà quest’anno per il tracollo della produzione in Italia. Le previsioni più recenti annunciano un raccolto dimezzato, pari a 225mila tonnellate, a causa soprattutto del clima avverso. Il mercato nazionale sarà invaso, di necessità, da olio estero, soprattutto da quello spagnolo che ha invece toccato un nuovo record di produzione.

* Responsabile scientifico del Centro studi Unimed, già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma

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