Dopo il bonus bebè e il bonus per le mamme che decidono di lasciare il lavoro per accudire la prole, l’ultima trovata per incentivare la crescita demografica passa direttamente per la campagna. Con un approccio a dir poco “vintage”, nell’ultima bozza della manovra di governo spunta un articolo per concedere gratuitamente terreni a vocazione agricola del sud Italia ai nuclei familiari che abbiano messo al mondo il terzo figlio.

Effettivamente, interpretando il provvedimento da entrambi i lati, il vantaggio è reciproco: fai figli per avere forza lavoro, hai lavoro perché fai i figli. Se non fosse che questo provvedimento sembra un po’ anacronistico e un po’ riduttivo. E mi sembra che già qualcuno in passato sposò questo approccio.

Il punto vero della questione non è la misura per il recupero delle terre agricole, né lo stanziamento di 20 milioni di euro per darle in concessione. Il punto vero è la postilla che indirizza questo benefit solo alle famiglie disposte a mettere alla luce il terzo figlio.

E questo per varie ragioni: la prima è che ci sono tanti giovani agricoltori desiderosi di coltivare quelle terre, ma non per forza desiderosi di avere uno, due o tre figli; la seconda è che per combattere la natalità non servono campi da coltivare ma servizi e finanziamenti che mettano le famiglie in condizione di lavorare – ovunque e, se vogliono, anche nei campi – la terza, infine, è che nessuno, in primis lo Stato, può dirci quanti figli dobbiamo fare per combattere la denatalità.

Quest’ultima si contrasta aprendo scuole, asili, servizi tate (le tagesmutter del nord Europa), spazi pubblici di aggregazione pomeridiani (per lo sport, le ripetizioni, per le fare festa). Ma soprattutto, la denatalità non si contrasta ricacciando le donne dal focolare domestico ai campi con la prole al seguito, ma abbattendo il “Gender Gap” e dando loro lavoro. Perché solo con un lavoro sicuro le donne (e gli uomini) si sentiranno sicuri di fare figli.

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