Il numero uno di Apple Tim Cook è sceso in campo per negare l’intricata vicenda dei chip spia di fattura cinese che sarebbero stati inseriti nei server Apple. La vicenda si era aperta con un articolo del sito Bloomberg, riconosciuto come fonte attendibile, che tratteggiava quella che sembra la trama di un intricato film di spionaggio. In sostanza nei server di aziende multinazionali di grande importanza come Apple, Amazon e Supermicro ci sarebbero dei microscopici chip di produzione cinese, messi lì appositamente per attività di spionaggio.

Le accuse hanno avuto una fortissima eco soprattutto negli Stati Uniti, dove il produttore di server Supermicro ha subito un vero e proprio tracollo finanziario con un tonfo delle azioni da 21,40 dollari a 9,55 dollari. L’articolo è stato contestato con veemenza da tutte le parti coinvolte: sono piovute smentite sia delle tre aziende coinvolte che da parte del ministero degli Esteri cinese. Adesso scende in campo anche Tim Cook, Amministratore Delegato di Apple, che in un’intervista con BuzzFeed News è arrivato a chiedere espressamente a Bloomberg di ritirare il contenuto pubblicato.

Crediti: Depositphotos

 

Per capire i motivi di tutto questo clamore bisogna andare indietro nel tempo, alle vecchie accuse di spionaggio nei confronti dell’industria e delle istituzioni mosse dagli Stati Uniti verso le aziende cinesi, soprattutto quelle produttrici di architetture e prodotti per le reti. Secondo le accuse, alcuni piccoli circuiti spia non dichiarati venivano integrati nei dispositivi prodotti in Cina proprio a scopo di spionaggio. L’articolo di Bloomberg si collegava a queste accuse e ridava loro vita e vigore a distanza di tempo, riaprendo un vaso di Pandora che di fatto non è mai stato del tutto sigillato.

La differenza con il passato è che oggi non è (solo) la Cina a smentire, ma anche le aziende coinvolte e in modalità più diplomatica anche la Nacional Security Agency e l’FBI. “Ho ogni genere di rappresentanti industriali e commerciali che ci stanno perdendo la testa, ma nessuno ha trovato niente”, ha dichiarato il portavoce dell’NSA, Rob Joyce.  “Voglio assicurarmi che il mio commento non possa portare a inferire o implichi, se si può dire così, che esista un’indagine”, ha commentato in modalità più sibillina il direttore dell’FBI Christopher Wray.

A scanso di equivoci, e per buttare altra acqua sul fuoco, Supermicro ha comunque inviato una lettera ufficiale ai clienti promettendo nuove e accurate indagini per smentire le accuse con i fatti.

Insomma, la priorità al momento è  far sentire al sicuro i clienti in Oriente come in Occidente, poiché in mancanza di prove solide il clamore mediatico può essere assordante, con gravi effetti collaterali sul settore. A questo punto solo un’indagine ufficiale ad ampio spettro potrebbe rispondere a ogni dubbio, ma pare che non siano ancora individuate prove adeguate.

Articolo Precedente

Privacy sul web, dispiace deludere ma il ‘Do Not Track’ non serve a nulla

next