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Se la schiavitù della iperconnessione travolge (dopo Calenda) anche Cottarelli

Se la schiavitù della iperconnessione travolge (dopo Calenda) anche Cottarelli
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Presa diretta ha sfornato lunedì sera una puntata capolavoro: cosa accade al nostro cervello, alla nostra intelligenza, al senso del nostro equilibrio nel tempo della connessione perpetua, dell’iperconnessione da smartphone.

I colleghi di Presa diretta potevano anche sottoporre a noi telespettatori tre casi tipici di personalità ridotte in schiavitù dalla iperconnessione e avremmo capito i rischi che tutti noi corriamo. Potevano per esempio farci vedere com’è ridotta la vita di Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico, in ragione del ticchettìo compulsivo con il quale sostiene le sue opinioni ogni santo giorno. Per tenere testa a twitter ha bisogno di avere un pensiero originale all’ora. Dodici ore di attività, dodici pensieri unici e geniali. Il genio, capita l’antifona, se l’è data a gambe. E ha lasciato in braghe di tela Calenda.

Di Matteo Salvini cosa altro aggiungere? Degradando sempre più nella confidenza esistenziale, temiamo il giorno in cui, dopo averci spiegato il mondo che verrà grazie a lui, chiederà a noi – senza nemmeno concederci un minuto per riflettere – un parere sui calzini da indossare. Saremo in grado?

Ma più preoccupante ancora, perché imprevisto, è ciò che è accaduto a Carlo Cottarelli. Fino a qualche mese fa conosciuto come l’algido funzionario del Fondo monetario, il tagliatore di costi e di teste, l’uomo della spending review, in poche settimane è stato fagocitato da twitter (una manina sconosciuta gli avrà messo l’app sul suo display) e da allora è un altro. Ieri, purtroppo, ha consegnato a tutti la prova che lo smartphone fa male anche ai migliori. Ha scritto: “Superati i 50k followers! Grazie a tutti! Ormai più che riempiamo lo Juventus Stadium. Il prossimo obiettivo è l’Olimpico di Roma, poi San Siro”. E’ successo davvero, ha scritto proprio così. E lui era Cottarelli.

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