Besnik Hoxha, tassista abusivo albanese accusato di aver stuprato due ragazze adescate fuori dalla discoteca Old Fashion di Milano, è stato condannato a 8 anni di carcere con rito abbreviato. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare di Milano, Natalia Imarisio, al termine del processo a cui hanno preso parte anche le due vittime, una delle quali presente anche oggi alla lettura della sentenza. La Procura aveva chiesto una condanna a 14 anni e mezzo, ma il gup ha fatto cadere un’aggravante contestata.

L’uomo era stato arrestato dalla Squadra Mobile a gennaio con l’accusa di aver adescato e violentato, tra luglio 2016 e novembre 2017, due ragazze di 20 e 25 anni fuori dal famoso locale notturno milanese con la scusa di portarle a casa. Secondo le indagini coordinate dal pm Gianluca Prisco, in entrambi i casi Hoxha avrebbe avvicinato le ragazze tra le 4.00 e le 5.00 di mattina, all’uscita dalla discoteca. La strategia descritta dall’accusa prevedeva di accompagnare a casa prima gli accompagnatori delle giovani e poi, una volta rimasto solo con le ragazze, portarle in una stradina secondaria per violentarle.

L’uomo, che lavorava anche nella pizzeria di famiglia, era stato individuato anche grazie a un video realizzato da una delle due vittime mentre tornava a casa con due suoi amici scesi dall’auto prima di lei. Nelle immagini si vedeva l’interno della macchina e il particolare di un cuore rosso di stoffa appeso allo specchietto retrovisore. L’ultima violenza contestata al tassista abusivo risale all’11 novembre del 2017, mentre il primo episodio, che è del 24 luglio 2016, era stato archiviato e poi riaperto proprio a seguito delle indagini sugli abusi di quasi un anno fa.

Il processo con rito abbreviato ha conosciuto anche uno scontro tra consulenti sul Dna. Ci sono “valori di significatività statistica compresi tra ‘moderato’ e ‘molto forte’, tuttavia sensibilmente inferiori rispetto a quelli prospettati” dal consulente della Procura, aveva scritto il professore Andrea Piccinini nella relazione genetica. Il consulente della difesa, Marzio Capra, nelle sue controdeduzioni aveva invece messo in luce “il mancato raggiungimento” nella perizia d’ufficio “di una compatibilità sufficientemente robusta e affidabile tra profili del Dna tale da poter considerare la prova scientifica pacificamente acquisita”.

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