di Maurizio Donini 

Quale presente e quale futuro per i giornalisti del Terzo millennio? Parliamo del giornalismo non come possesso di un tesserino marcato OdG, simulacro di un tempo che fu, presente oramai solo in Italia, ma nell’accezione di informatori e ‘controllori’ a tutela dei cittadini. Un ruolo quanto mai diventato difficile, e che con il passare del tempo acquista sempre più difficoltà e meno rispetto per una molteplicità di motivi. Il giornalista nei secoli scorsi godevano di rispetto, per certi versi erano visti come una sorta di ‘intoccabili’ per le ripercussioni che si potevano avere dai loro articoli. Poi un movimento globale da parte della politica, ha fatto sì che l’autorevolezza dei cronisti sia vieppiù scemata, e con essa la tutela che ne conseguiva.

Tralasciando la professione di cronista di guerra che per natura è pericolosa, abbiamo la storia recente delle intimidazioni ai cronisti impegnati sul litorale laziale, in zone di disagio come la Montagnola a Bologna piuttosto che altre zone degradate delle periferie italiane. Pochi anni fa assistetti assieme a Maria Chiara Prodi, nell’ambito della giornata di Libera, alla proiezione di Silencio, il docufilm di Bolzoni, oltre settanta giornalisti uccisi in Messico, una mattanza continua e che non si è tuttora fermata. Anna Politkovskaja e Daphne Caruana Galizia sono solo le ultime vittime di quelli che nella definizione anglo-sassone si chiamano watchdog, appunto giornalisti che controllano il potere senza cedere a lusinghe e frequentazioni poco chiare, pagando personalmente per la propria integrità.

I colpevoli di questa situazione sono diversi, un potere politico che è sempre più insofferente alle inchieste ed alle domande scomode, abbiamo iniziato con il berlusconismo che ha cercato in tutte le maniera di limitare ed intimidire l’informazione cercando di introdurre leggi ad hoc ed accusando i media di tutti i suoi problemi. Un trend colpevolista seguito anche dal Pd di Renzi, che leggi in senso punitivo sono perfino riuscite ad introdurle, per non parlare del Movimento 5 Stelle che ha individuato nell’informazione il male assoluto.

Giornalisti italiani solo vittime? Le colpe di un sistema volto a creare connubi e legami velenosi tra informazione e potere sono tante, dalla fabbrica del fango di berlusconiana memoria, ad un coacervo di giornalisti pronti ad inchinarsi ai potenti per guadagnarsi crediti. Giampaolo Pansa, con una polemica forte, affermò che metà dei giornalisti era contigui ed asserviti, Bruno Vespa dichiarò candidamente di riconoscere la Democrazia Cristiana come proprio editore, il rispetto per i lettori è parso spesso un lontano ricordo. Ovviamente c’è tanta parte di informazione che fa il suo mestiere in maniera esemplare, le inchieste dell’Espresso, quelle de Il Fatto Quotidiano stesso, Report, il numero di querele ed attacchi subiti è lì a dimostrarne la testardaggine nell’inseguire la notizia e la verità.

Il conflitto di interessi è una particolarità italiana che avvelena la vita pubblica e l’informazione, non si tratta solo di affari di Borsa, ma quando si permette che il potente possieda una vasta parte dei media è inevitabile che l’informazione ne risulti inficiata ed usata in maniera strumentale. Una considerazione ben diversa pare esserci in Europa, la Commissione Europea lo scorso 26 aprile ha pubblicato un documento rivolto alla lotta alle fake news, “Lotta alla disinformazione online: proposta della Commissione di un codice di buone pratiche dell’UE”. I membri saranno scelti tra i facenti parte della rete internazionale dei verificatori di fatti (International Fact Checking Network). Basta ricordare le fabbriche dei troll russe scovate da FqMillennium per capire quanto lavoro ci sia da fare. Se in Italia si cerca in tutte le maniere di limitare l’accesso e le tutele per i giornalisti, in Europa li si incarica di fare i watchdog ufficiali.

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