Mercoledì 13 giugno la rivista americana Fortune ha rivelato in esclusiva mondiale il documento di 229 pagine consegnato da Facebook al Congresso americano in cui il colosso digitale argomenta la propria difesa, punto per punto, dopo lo scandalo di Cambridge Analytica. I magazine di tecnologia in tutto il mondo hanno minuziosamente analizzato il documento e fatto emergere che, tra le tante risposte consegnate al Senato (per la precisione a pagina 189) Facebook ha indirettamente dovuto rivelare un’interessante novità.

L’azienda di Menlo park ha infatti ammesso di possedere due brevetti su tecnologie di eye-tracking intitolati “Calibrazione dinamica per il tracciamento oculare” e “Tecniche per il rilevamento delle emozioni e la distribuzione dei contenuti”. In sintesi, Facebook sta lavorando per rilevare il movimento dei nostri occhi.

In un momento storico in cui il tema della privacy è più sensibile che mai (quantomeno a parole), Facebook ci ha tenuto a specificare che “al momento non sta progettando tecnologie in grado di identificare le persone con le camere a tracciamento oculare“. Difesa nobile ma inutile, specie per gli addetti ai lavori che sanno leggere tra le righe. Facebook ha infatti tutto l’interesse a tracciare il movimento degli occhi a prescindere dall’identificazione degli utenti.

Non importa chi sei, l’importante è cosa Facebook può ottenere dallo studio del tuo sguardo.

1. Informazioni di web design. Quando siamo su Internet tendiamo ad agire come animali, impulsivi e distratti, con una capacità di focalizzazione molto bassa. Sapere dove i nostri occhi si rivolgono suggerirà a Facebook quali elementi – pulsanti, grafiche, box etc – attirino maggiormente la nostra attenzione. In un mondo come quello digitale in cui il successo di una piattaforma si determina in frazioni di secondo, sapere quali elementi rubino il nostro sguardo consentirà di migliorare l’esperienza complessiva del social network.

2. Informazioni sul grafo sociale. Conoscere il vero legame tra amici, conoscenti e aziende è ciò che consente al social network di perfezionare il news feed, ovvero il flusso di contenuti personalizzati che compaiono in modo serendipico di fronte agli occhi degli utenti e li motivano a tornare sulla piattaforma. La logica di base è che il nostro sguardo può parlare più di qualunque azione pratica. Ad esempio, se guardiamo per ben 30 secondi il post di un nostro amico ma non facciamo alcuna interazione – tra like, condivisione e commento – Facebook otterrà comunque l’informazione che quel post ha suscitato in noi un interesse ben al di sopra della media. Potrebbe dunque valutare di riproporci post di quello stesso amico perché, a giudicare dal nostro sguardo, siamo legati a lui e ai suoi contenuti.

3. Informazioni sulle nostre emozioni. Chiunque abbia visto la serie televisiva Lie to me con Tim Roth ha imparato il valore delle microespressioni facciali. Nella serie il dottor Cal Lightman utilizza la sua innata capacità di riconoscere le microespressioni di criminali o potenziali tali per distinguere la verità dalle menzogne a fini di investigazione professionale. Facebook vuole invece investigare le nostre emozioni per sapere quali contenuto suscitino, ad esempio, ilarità o sdegno. Individuare questi pattern emozionali consentirà di valorizzare i contenuti che suscitano emozioni positive e potenzialmente bannare quelli causano paura, rabbia o tristezza.

“Qualora implementassimo questa tecnologia nel futuro, lo faremo tenendo assolutamente a mente la privacy delle persone”, conclude Facebook. Come non fidarsi.

 

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