Le disuguaglianze di reddito e di opportunità sono aumentate in molti Paesi sviluppati a danno di intere fasce della popolazione e della crescita economica complessiva. A rilevarlo è l’Ocse, nello studio ‘Opportunità per tutti: il piano per una politica a favore della crescita inclusiva’. Le famiglie agiate, si legge nel rapporto, hanno visto i loro standard di vita e il loro patrimonio aumentare più della classe media e dei meno abbienti, che hanno dovuto fare i conti con redditi stagnanti. In termini di reddito disponibile, il 20% più povero nel 2014 guadagnava un quinto del reddito del 20% più ricco. Le retribuzioni reali dell’1% più ricco sono salite del 45% tra il 1995 e il 2011, tre volte più della crescita dei salari mediani nei Paesi Ocse. Il 20% dei redditi più alti sono in media nove volte superiori al 20% dei redditi più bassi. Gli squilibri sono ancora maggiori in termini di ricchezza: il 5% più ricco della popolazione detiene in media più di un terzo della ricchezza totale e l’1% più ricco quasi un quinto.

Metà della ricchezza è del 20% della popolazione più agiato, mentre il 40% possiede solo il 3%. Non solo: il background sociale continua a determinare le opportunità nella vita delle persone in molti Paesi, dove le iniziative politiche non sono riuscite rompere il cortocircuito tra l’influenza dello status socio-economico e i risultati scolastici e la successiva entrata nel mondo del lavoro. Un bambino con genitori che non hanno un diploma di scuola secondaria ha solo il 15% delle chance di ottenerlo lui stesso, contro il 65% dei bambini più avvantaggiati. Le persone con i redditi più bassi hanno una minore aspettativa di vita e in alcune regioni il divario arriva a sette anni. Ad aggravare il tutto intervengono le disparità di genere: le donne guadagnano in media il 15% in meno rispetto agli uomini. E spesso basta nascere nella regione o nel quartiere sbagliato per partire già in svantaggio.

Tra gli indicatori che mostrano l’aumento delle disparità, soprattutto negli ultimi anni, l’Ocse cita il diverso andamento tra Pil pro capite, aumentato in media dell’1,5% per anno nel 2010-15 e il reddito mediano, salito solo dello 0,6% per anno, segnale che l’aumento della ricchezza che si riflette nella crescita del Pil non ha portato un pari aumento medio del benessere. Nel 2014 circa l’11,2% della popolazione Ocse era povero, ovvero con una reddito al di sotto del 50% del reddito mediano, contro il 10,6% del 2011. Lo studio sottolinea che gli alti livelli di disuguaglianza “possono minare la fiducia nel governo e nelle istituzioni, possono quindi ridurre lo spazio per le riforme e possono anche avere come contraccolpo reazioni contro la globalizzazione, come si e’ visto in alcuni Paesi Ocse con l’aumento dei movimenti populisti“.

Un bambino il cui padre guadagna il doppio del reddito mediano, a sua volta guadagnerà il 40% in più rispetto a un bambino con il padre che guadagna il reddito medio. Tra la performance degli studenti al top della scala socio-economica e quelli più svantaggiati vi sono 88 punti di differenza nei test Pisa-Ocse sulle competenze scolastiche, l’equivalente di un anno di scuola. Un bambino che si trova nella fascia di reddito più svantaggiata ha il 18% delle possibilità di avere una carriera in campo scientifico, la metà rispetto ai ragazzi della fascia più alta. Tali effetti sono amplificati nel caso dei figli dei migranti, che hanno divari ancora maggiori rispetto agli studenti non-immigrati. La mobilità sociale è ostacolata anche dal limitato accesso ai servizi sanitari e dei trasporti che sono peggiori per le fasce di reddito più basse e per le regioni più povere.

Anche la mancanza di alloggi decenti è una causa di vulnerabilità per i redditi più bassi. Non solo: un mutuo per la casa nel loro caso assorbe oltre un terzo del loro reddito disponibile contro il 18% per un reddito medio. Una maggiore disuguaglianza può portare a una minore crescita economica, anche perchè ostacola la capacità di quel 20% più povero della popolazione di investire nell’istruzione e questo riduce le loro opportunità e anche la loro produttività, come quella dei loro figli. Il non poter accedere ai posti di lavoro di migliore qualità, si traduce in minori entrate da tassazione per gli Stati e spesso in maggiori spese di welfare. Lo studio calcola che l’aumento delle disparità tra il 1985 e il 2005 in 19 Paesi Ocse ha ridotto di 4,7 punti percentuali la crescita economica tra il 1990 e il 2010.

La ricetta dell’Ocse per fare fronte al problema è ampia e articolata, non si rivolge solo ai governi, ma anche alle imprese. L’Ocse raccomanda di investire nelle persone fin dalla prima infanzia con assistenza e scuole di qualità e con l’accesso a servizi sanitari, infrastrutturali, di giustizia di qualità. Va supportato il dinamismo delle aziende con l’innovazione tecnologica e dei mercati del lavoro, puntando su occupazioni di qualità. Vanno costruiti “governi efficienti e reattivi”, che valutino nelle loro politiche, compreso la tassazione, l’impatto in termini di crescita inclusiva.

Articolo Precedente

Governo, Visco: “Il destino dell’Italia è quello dell’Europa. Nessuna scorciatoia per ridurre il debito pubblico”

next