DOGMAN di Matteo Garrone. Con Edoardo Pesce, Marcello Fonte, Gianluca Gobbi. Italia 2018. Durata 102’ Voto 3,5/5 (DT)

In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, tra un reale che sembra immaginario e viceversa, vive Marcello, omino minuto che si divide tra il lavoro nel suo modesto negozio di toelettatura per cani, l’amore per la figlia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Marcello procura cocaina per sé e Simoncino, starà parecchio al gioco pur subendo angherie, poi quando rimarrà fregato dall’amico artefice di un furto con scasso che lo fa finire in carcere un anno e perdere la fiducia dei vicini di negozio, si vendicherà con fine arguzia, rimanendo comunque disperatamente solo. Dopo Il racconto dei racconti un altro film di Garrone magniloquente nella qualità visiva e nel controllo totalizzante della messa in scena (dai dettagli del muro scrostato dentro al negozio all’arbusto penzolante in profondità di campo lunghissimo), ma Dogman, tratto dal fatto di cronaca dell’omicidio del “canaro”, è anche un’opera che trasmette inerte freddezza e mostra una serie di momenti anodini come il pretestuoso utilizzo dei cani come analogia simbolica dei rapporti umani. Inoltre il rapporto di dipendenza tra carnefice e vittima appare più orientato sulla mera forza fisica dell’uno sull’altro più che sulla classica dipendenza psicologica e patologica dei primi disturbanti e memorabili film di Garrone. Fonte e Pesce impressionanti finché si vuole, ma sono solo mere funzionali maschere deformate di una fiaba nerissima. In attesa dell’oramai sventolata da tempo versione dark di Pinocchio.