Un amico che non vuole essere nominato mi ha chiesto di raccontare due sue vicende di sanità. Lo faccio volentieri perché come dirigente della Associazione Luca Coscioni ho cercato di mettere a fuoco, con la costituzione di un gruppo di lavoro molto qualificato e con una serie di convegni, alcuni dei temi complessi della sanità. E lo faccio raccontando alcune storie.

Luigi (nome di fantasia) è un uomo che crede nei medici e nella prevenzione delle malattie, per cui si sottopone spesso ad analisi di vario tipo e a visite di controllo. Le storie che Luigi mi ha raccontato sono queste:

1. Nel 2008 telefona al suo oculista per un controllo della vista. La segretaria gli comunica che il dottore è defunto, ma lo studio è ancora aperto e retto da un ottimo collega del de cuius. Siamo a fine maggio, Luigi va a farsi visitare dal medico (chiamiamolo De Truffis, come in una storia di Paperino) e apprende con terrore di avere una situazione gravissima di cataratta a entrambi gli occhi. “Il primo – gli dice l’oculista dopo essersi informato se Luigi ha una buona assicurazione – lo operiamo subito; il secondo a settembre”. Luigi prende un appuntamento con un altro oculista e dopo una visita molto accurata si sente dire che i suoi occhi non hanno alcun problema: “Ci rivediamo fa un paio d’anni”, gli dice il medico. Dopo due anni, un novo appuntamento e un altro rinvio di un biennio. Alla nuova visita (dunque 4 anni dopo quella con De Truffis), l’oculista gli consiglia di procedere alle due operazioni di cataratta, che effettua con successo a breve distanza l’una dall’altra e non in una clinica privata ma in un ospedale, con una spesa irrisoria. Problema risolto.

2. Nel 2013 Luigi avverte un leggero fastidio all’anca. Un amico, primario anestesista in un piccolo ospedale, gli fa fare una radiografia e insieme vanno a parlarne con il primario di ortopedia. Il primario (chiamiamo De Arpagonis) gli annuncia che l’intervento all’anca è urgentissimo (“Lei fra poco comincerà a zoppicare”), gli chiede se è assicurato e gli suggerisce di operarsi nella clinica privata in cui lavora, anche perché – afferma senza pudore – negli ospedali il rischio che l’intervento vada male è superiore di circa il 30%. Luigi – fatto furbo dalla vicenda delle cataratte – cerca un altro ortopedico, il quale gli dice che la sua anca è ancora in ottimo stato e aggiunge: “ci rivediamo fra un paio d’anni”. Nel 2015 Luigi torna con nuove lastre e l’ortopedico gli dice che comincia a esserci qualche problema ma è sufficiente fare qualche seduta di fisioterapia e di tecar. Nel 2017 Luigi torna e l’ortopedico gli dice che è giunto il momento di operare.

Morale dei primi due episodi: il primo oculista e il primo ortopedico di Luigi sono dei disonesti. Che si può fare in questi casi perché non restino impuniti?

3. Nell’autunno del 2017 Luigi – senza chiedere il parere di un altro ortopedico – decide di operarsi all’anca. In questo caso ha buon motivo di fidarsi del medico, visto che per ben due volte non ha ritenuto di proporgli un immediato intervento e lo ha fatto solo alla terza visita e dopo 4 anni. L’esito della operazione (35mila euro più circa 5mila di fisioterapia) lascia però Luigi profondamente insoddisfatto, tanto che cade in uno stato di depressione perché, malgrado mesi di fisioterapia, la zona della gamba circostante la protesi continua a dargli un certo dolore. Inoltre, si sente incerto nel camminare. Ma soprattutto il dolore di schiena – di cui date le cattive condizioni della sua colonna cervicale soffriva anche prima dell’operazione, ma solo saltuariamente – è diventato quasi permanente e molto più forte, con picchi di dolore inquietanti.

In sintesi, prima della operazione Luigi era un anziano signore con saltuari mal di schiena, che poteva permettersi di camminare anche due ore al giorno senza problemi. Ora si sente invecchiato di molti anni, la schiena non gli dà tregua e il massimo che riesce a fare è camminare un’oretta, con una o due soste per riposare. Prima della operazione l’ortopedico gli ha detto che si tratta di un intervento importante, ma che solo nel 5% dei casi l’esito è negativo ed è necessario intervenire, con terapie o – ma solo nel 2,5% dei casi – con un nuovo intervento. Normalmente, aggiunge, dopo tre o quattro mesi la persona operata può tornare alle sue attività sportive (perfino allo sci).

Solo su un punto il medico rassicura Luigi: non rientra nel 5% dei più sfortunati. Dinanzi all’insistenza di Luigi per capire quali sono allora le ragioni del suo netto peggioramento, il medico dà questa spiegazione: in passato la colonna e l’anca malandate avevano trovato un miracoloso equilibrio, che ora è saltato per il mutato assetto dell’anca causato dall’intervento. Soluzioni? Praticamente nessuna, tolti i soliti palliativi del nuoto, del camminare e della fisioterapia.

Luigi chiede al medico perché questo rischio non gli era stato prospettato prima dell’intervento. Nel qual caso, forse avrebbe rinunciato all’operazione o quanto meno l’avrebbe rimandata al più tardi possibile. Il medico non risponde ed è chiaramente urtato dal tono polemico dell’esasperato Luigi. Non accetta il pagamento della visita (senso di colpa?) e se ne va quasi senza salutare.

Morale di questo terzo episodio: è giusto che un medico non spieghi al paziente tutti i possibili rischi di una operazione importante come la protesi d’anca? E se non lo fa e qualcuno di quei rischi si avvera, che cosa si può fare per avere almeno un premio di consolazione?

Segnalerò questo mio articolo al vasto giro di medici che hanno a che fare con l’Associazione Coscioni per aprire una discussione su questi temi e magari proporre qualche soluzione.

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