Lavoravano ogni giorno per informare i cittadini. E per raccontare l’Afghanistan con una penna, una macchina fotografica o una telecamera. Anche quando, nei momenti peggiori del conflitto, tutti gli altri avevano smesso di farlo. “Quando guardo indietro, la fuga dei talebani dagli americani nel 2001 è stata una grande speranza. Ma oggi questa speranza è scomparsa“, scriveva nell’ottobre del 2016 Shah Marai, il fotografo dell’Agence France Presse (Afp) che ha perso la vita insieme ad altri otto giornalisti negli attacchi terroristici del 30 aprile, quelli “messi in atto per colpire la stampa”. Oltre a lui, secondo il portavoce della polizia locale sono rimasti uccisi anche Yar Mohammad Tokhi, da 12 anni cameraman di ToloNews, il giornalista Ghazi Rasooli e l’operatore di 1Tv Nowroz Ali Rajabi, Saleem Talash e Ali Saleemi di Mashal Tv. A loro si aggiungono i reporter di Azadi Radio, emittente legata a Radio Free Europe-Radio Liberty, Abdullah HananzaiMahram Durani e Sabawoon Kakar. Ma non solo. Perché nella provincia afghana di Khost è stato ucciso a colpi di pistola un altro giornalista, Ahmad Shah, che da oltre un anno lavorava per la Bbc.

Shah Marai, vent’anni di scatti su Kabul  – “I talebani odiavano i giornalisti e dovevo tenere un basso profilo”, racconta Marai in un post ripubblicato da Afp per commemorare la sua morte. “Lavoravo con una piccola reflex che dovevo nascondere in una sciarpa avvolta intorno alla mano”. Il reporter ha iniziato a documentare l’Afghanistan nel 1998, quando “era proibito fotografare tutti gli esseri viventi, sia uomini che animali”, perché “era contro la loro concezione dell’Islam“. Aveva iniziato a lavorare per France Press come autista, poi il suo lavoro è diventato quello di fotografo. Preferiva non firmarsi col suo nome per evitare problemi sul campo, e comparire solo come “stringer”. E ha visto anche la guerra dopo le Twin Towers. “L’11 settembre ho visto sulla Bbc gli aerei incastrarsi nelle Torri gemelle“, racconta. “Senza immaginare nemmeno per un secondo le possibili ripercussioni sull’Afghanistan”. Ma le bombe sono arrivate presto. “Il 7 ottobre sono iniziati i bombardamenti su Kandahar. Stavo telefonando a Islamabad quando ho sentito gli aerei su Kabul: le prime bombe sono cadute sull’aeroporto. Non sono andato a letto, né potevo uscire di casa”. E all’improvviso, nel giro di poche settimane, la città è stata liberata. “Le strade erano piene di gente, la gente usciva, tornava a vivere”, continua il fotografo. “E poi… nel 2004 i talebani sono tornati. A Kabul sono iniziati gli attacchi. Ovviamente la città è cambiata dal 2001, nei negozi c’è tutto. Ma non c’è speranza. Ogni mattina, quando arrivo in ufficio, ogni notte, quando arrivo a casa, penso all’autobomba o al kamikaze che potrebbe uscire dalla folla. Non vedo una via d’uscita”. Marai, 48 anni, lascia una moglie e sei figli, tra cui una l’unica bimba, Khadija, nata 15 giorni fa. Il New York Times scrive che la sua era una famiglia con una predisposizione genetica per la cecità. Lui, col suo stipendio, manteneva tre fratelli – due di loro li ha fatti emigrare in Europa – e due dei suoi bambini, tutti non vedenti. La madre di Shah aveva già perso il marito e un fratello e l’articolo del quotidiano americano (qui) racconta la disperazione della donna quando la bara del figlio viene portata a casa. Shah è stato sepolto fuori Kabul, a Guldara, nella “Valle dei fiori”. Il suo coraggio e il suo lavoro sono stati ricordati anche da Emergency, per aver fotografato le vittime del conflitto e per aver mostrato la realtà della guerra.

Sabawoon Kakar e quella notizia che ha fatto il giro del mondo – Aveva raccontato una storia poi ripresa in tutto il mondo, Sabawoon Kakar. A fine marzo una giovane madre 25enne si è presentata all’università di Kabul con l’ultima delle sue tre figlie, ancora neonata, attaccata al collo. Ha partecipato agli esami d’ingresso dell’ateneo ed è riuscita a passarli. La vicenda, raccontata dal corrispondente a Kabul per Radio Free Europe-Radio Liberty e dalla collega Farangis Najibullah, è diventata virale ed è finita sui tutti i principali giornali del mondo occidentale. Grazie ai due giornalisti e alle foto scattate da Yahya Erfan, l’associazione britannica Afghan Youth ha lanciato una raccolta fondi – il cui traguardo è stato già superato – per finanziare gli studi della giovane mamma.

Ahmad Shah, da un anno a lavoro per la Bbc – “Era un giornalista rispettato e popolare”, sono invece le parole utilizzate dal direttore di Bbc World service Jamie Angus per ricordare Shah. “È una perdita devastante e mando le mie più sincere condoglianze ai familiari e agli amici di Ahmad Shah e all’intero team afghano di Bbc News. Faremo tutto quello che possiamo per supportare la famiglia in questo momento di difficoltà”, ha aggiunto. Il reporter, in servizio per l’emittente inglese da oltre un anno, lascia una moglie sposata solo sei mesi fa.

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