In Italia crescono le minacce contro i giornalisti, soprattutto nel Mezzogiorno, ma anche a Roma: è l’allarme lanciato da Reporters sans frontières che nel rapporto 2018 sulla libertà di stampa come l’anno scorso punta il dito contro il Movimento 5 Stelle. Nonostante questo, nella classifica realizzata annualmente dall’Ong, il nostro Paese progredisce di 6 punti rispetto al ranking dello scorso anno sulla libertà di stampa, in 46/a posizione sui 180 Paesi esaminati. Al primo posto c’è la Norvegia mentre la Corea del Nord figura in ultima posizione.

“Una decina di giornalisti italiani sono ancora sotto una protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte proferite, in particolare, dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti“, deplora Rsf, secondo cui “il livello delle violenze perpetrate contro i reporter (intimidazioni verbali o fisiche, provocazioni e minacce…) è molto inquietante e non smette di aumentare, in particolare, in Calabria, Sicilia e Campania. Numerosi giornalisti, soprattutto nella capitale e nel sud del Paese si dicono continuamente sotto pressione di gruppi mafiosi che non esitano a penetrare nei loro appartamenti per rubare computer e documenti di lavoro confidenziali quando non vengono attaccati fisicamente”. Quindi il plauso a chi tiene la schiena dritta: “Dimostrando coraggio e resilienza, questi giornalisti, continuano, nonostante tutto a pubblicare le loro inchieste”.

Ma i rilievi dell’organismo riguardano anche il mondo della politica. In Italia – scrive Rsf – “numerosi addetti dell’informazione sono sempre più preoccupati per la recente vittoria alle elezioni legislative di un partito, il Movimento 5 Stelle, che ha spesso condannato la stampa per il suo lavoro e che non esita a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che lo disturbano”. E ancora: “Spesso i giornalisti italiani subiscono pressioni da parte dei politici e optano sempre più di frequente per l’autocensura“. Inoltre, un “recente progetto di legge fa pesare sugli autori di diffamazione contro politici, magistrati o funzionari pene fino a 6-9 anni di reclusione”.

Più in generale, l’Ong parigina deplora un “sempre più marcato clima di odio” al livello globale. “L’ostilità dei dirigenti politici nei confronti dei media non è più appannaggio esclusivo dei Paesi autoritari come la Turchia (157/a posizione) o l’Egitto (161/a), sprofondati nella ‘mediafobia’ al punto da generalizzare le accuse di ‘terrorismo’ contro i giornalisti e incarcerare arbitrariamente tutti coloro che non prestano fedeltà”. Ma “sempre più leader democraticamente eletti – fa osservare l’Ong – vedono la stampa non più come fondamento essenziale della democrazia bensì come un avversario al quale mostrano apertamente la loro avversione. Paese del primo emendamento, gli Usa di Donald Trump figurano ormai in 45/a posizione, indietro di due punti. E il presidente Usa abbonato al ‘media-bashing’ bolla senza complessi i reporter come ‘nemici del popolò, formula usata a suo tempo da Stalin”.

Foto dal sito di Rfs

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