Eugenia, a Oliena, fa gli scontrini del suo negozio in sardo. Non si capisce bene perché, ma la notizia fa scalpore. Qual è la lingua dei sardi? Il sardo. Dovrebbe far scalpore il contrario: negli ultimi 70 anni l’Italia, con la complicità di tanti sardi, ha tolto alla Sardegna la propria lingua. Eugenia non è sola. Fabio Usala a Sestu, una cittadina italofona, parla ai figli in sardo, e loro gli rispondono. Le maestre parlano della Sardegna e del “resto della penisola”, coma se la Sardegna fosse miracolosamente attaccata allo stivale.

A Cagliari spopolano i corsi di lingua sarda. Giovani donne (sì, sono più degli uomini) e giovani uomini si accorgono che gli amici italiani hanno impedito loro, nelle scuole ed in ogni aspetto della vita quotidiana, di usare la lingua dei loro genitori, dei nonni, e di tutti coloro che in Sardegna hanno vissuto per più di due generazioni.

Addirittura è nato Casteddu speaks sardu. Ragazze e ragazzi di tutta Europa, ma in maggioranza sardi, che si riuniscono a Cagliari per stare in un ambiente sardofono, bevendo una o due birre. Il sardo sta diventando sexy.

Da sempre è aperta la diatriba se “tradurre” sia “tradire” e, effettivamente, ogni operazione di traduzione è un’operazione di tradimento. Si travisa il contenuto iniziale, nei suoi elementi centrali e nelle sue sfumature.

La Sardegna è stata tradotta in italiano. La Sardegna viene raccontata solo ed esclusivamente in italiano. Anche per questo viene costantemente tradita. Ci sono addirittura giornalisti che vogliono descrivere la Sardegna, pensare di capirla, senza scrivere e parlare il sardo. Non parliamo dei politici o degli accademici!

Dal punto di vista della tutela delle minoranze linguistiche (e la Sardegna è la più grande minoranza linguistica d’Italia) l’Italia ha atteggiamenti più razzisti e di chiusura della Cina verso i tibetani. Ha atteggiamenti assimilabili ma peggiori a quelli che ha la Francia coi corsi. Almeno la Francia permette che in Corsica si utilizzi il corso!

Qualcuno vi dirà che non c’è uno standard di sardo che vada bene per tutti, ma non è vero che è questo il problema. Standard ce ne sono già tanti, e basta che la politica scelga. Noi le nostre idee le abbiamo. Nel frattempo, ognuno parli il sardo e scriva continuamente in sardo, con poche regole ortografiche che si imparano in un paio d’ore.

Qualcuno vi dirà che è meglio imparare l’italiano, o l’inglese. Vi dirà che il sardo non serve a nulla. Rispondetegli che negli ultimi 70 anni è stato questo l’andazzo, e non è che i sardi stiano proprio bene. Anzi, hanno il tasso di dispersione scolastica più alto d’Italia, e tra i più alti d’Europa. E magari raccontate loro della Catalogna, di quanto è sano per un bambino crescere in un paese bilingue, dove si conosce la propria terra e la propria storia, e non solamente quella di Romolo e Remo.

Nei prossimi giorni il consiglio regionale discuterà il “Testo unico sulla disciplina della politica linguistica regionale”. Lavoriamo affinché nasca un movimento popolare per la co-ufficialità del sardo e dell’italiano a partire dalla sua approvazione.

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