I militari della polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Torino hanno arrestato stamattina tre imprenditori con l’accusa di peculato continuato e “aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità”: hanno fatto uscire dalle casse di Finpiemonte, la finanziaria della Regione Piemonte, sei milioni di euro con tre bonifici. In carcere è finito l’ex presidente, Fabrizio Gatti, insieme a due uomini che lo hanno aiutato a evitare il fallimento di una sua società immobiliare, Massimo Picchetti e Pio Piccini, già coinvolto nel crac dell’azienda informatica Agile-Eutelia (per la quale ha patteggiato) e sfiorato da altre inchieste, come quella sull’Enac.

L’indagine torinese è partita alcuni mesi fa dopo l’arrivo di Stefano Ambrosini alla guida di Finpiemonte. Da alcuni controlli di routine emergono delle stranezze che portano alla scoperta dell’esistenza di un investimento speculativo da circa 45 milioni di euro in una banca svizzera, la Vontobel Bank di Zurigo, fatto dalla società sotto la guida del suo predecessero, Gatti. Emerge anche da questo conto erano partiti tre bonifici per un totale di sei milioni di euro destinati alle società di Piccini e di Pichetti. Ambrosini informa la giunta di Sergio Chiamparino, che lo ha voluto ai vertici di quell’istituzione riconosciuta un anno fa come istituto di credito dalla Banca d’Italia.

Il presidente, insieme al vice Aldo Reschigna e l’assessore alle Attività economica Giuseppina De Santis, decidono di denunciare tutto alla procura il 7 novembre. Circa un mese dopo, però, l’affaire diventa noto e Chiamparino ne rende conto in consiglio regionale spiegando che da alcune verifiche interne “emergono tre bonifici (effettuati fra giugno 2016 e febbraio 2017, ndr) per un totale di sei milioni, uno di 1,5 milioni e gli altri di due milioni circa a società che non compaiono tra i beneficiari dei finanziamenti di Finpiemonte o in rapporto con essa”.

Si tratta delle società riconducibili a Piccini e Pichetti, gli stessi attori che hanno permesso a Gatti e alla sua Gem Immobiliare di salvarsi nonostante le istanze di fallimento presentate dai suoi creditori dopo un investimento andato male. Su quei bonifici, poi, “non c’era la firma del direttore finanziario, ma del presidente”, spiegava Chiamparino. Il manager, tramite i suoi avvocati Luigi Chiappero e Luigi Giuliano, chiede di essere sentito, ma la procura, presa in contropiede dalla pubblicazione delle notizie, prende tempo e aspetta alcune informazioni dalla Svizzera tramite una rogatoria. Oggi la svolta con l’arresto in carcere.

Quando il caso è scoppiato, nel mondo politico – e soprattutto tra le fila del Partito democratico – alcuni erano sorpresi dalle accuse mosse a Gatti, manager cresciuto in una famiglia della borghesia valdese, un passato politico nel centrosinistra, ma apprezzato anche dal centrodestra: nominato vicepresidente di Finpiemonte nel 2010, due anni dopo l’ex governatore Roberto Cota lo tenne alla presidenza della finanziaria in seguito alle dimissioni dell’allora presidente Massimo Feira, coinvolto in un’indagine.

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