Non è una notizia come le altre quella per cui in Italia entro il 2025 le piantagioni di nocciole si estenderanno di almeno altri ventimila ettari grazie alla domanda crescente per produrre la Nutella Ferrero. Probabilmente è un buon segno per la nostra agricoltura e per la nostra industria: i contadini saranno felici e Ferrero ancor più. I consumatori potranno rallegrarsi, forse i prezzi della crema di cioccolato scenderanno e la potremo mangiare con ancora maggior ardore, sapendo che la materia prima viene dalle nostre campagne. Ma non è solo questo, è molto altro. In questo evento c’è un salto di categoria.

Se veramente le piantagioni di nocciole (notoriamente un prodotto non di particolare pregio) cresceranno come annunciato – data per scontata la convenienza economica degli investimenti – si verificherà un fenomeno che non accade tutti i giorni, ma al quale dovremmo prestare particolare attenzione. Con la Nutella che convince gli agricoltori a piantare noccioli, il Mito ancora una volta entra nella storia e la determina. La leggenda, la fama, l’alea, l’aspetto immateriale (spirituale?) di un prodotto industriale – come un dio greco – piomba nel mezzo delle vicende umane e le cambia, le guida, al punto da solcarne inesorabilmente i destini.

Se analizzassimo i fatti con freddezza razionale – anche un po’ pignola, ma in fondo siamo nel cuneese – dovremmo ricordare che, nelle sue origini anteguerra, la Nutella nacque come conseguenza delle ristrettezze autarchiche e belliche del fascismo, che avevano ridotto drammaticamente la disponibilità del cacao necessario per le tradizionali creme di cioccolato, specialità torinesi, che troneggiavano nelle vetrine di Talmone o Peyrano. Il Mito nasce dal Caso, o dalla Necessita (che è poi la stessa cosa). La necessità di ottenere un prodotto più povero generò la Nutella – versione tardiva da boom economico per l’esportazione della originaria crema Giandujot poi Supercrema Ferrero – che divenne il prodotto che oggi conosciamo solo a partire dal 1964. Serendipity. Fu la politica agraria del fascismo a determinare non solo la prima espansione nella produzione di noccioli in Piemonte, ma la nascita del mito, che oggi reclama ovviamente i suoi diritti.

Noi non sappiamo per certo se la diffusione dei noccioli in Italia alla fine sarà un buon affare. Oggi può esserlo perché serve a riequilibrare l’utilizzo delle materie prime estere che incidono per oltre l’80%. Appunto, ma qui si parla di mito e di imprevedibilità degli esiti ultimi. In alcuni casi si tratterà di un ritorno a produzioni antiche; in altri (temo la maggioranza) sarà forse seguire una moda agricola, di convenienza di breve periodo, che purtroppo ha già ispirato in passato molte altre scelte produttive (soja, tabacco, etc.), attualmente in ritirata. Scelte di un’agricoltura della quale pochi si interessano, men che meno i politici che dovrebbero. In ogni caso non è male sapere che una piantagione di noccioli per arrivare a produzione ha bisogno di almeno quattro anni e che una certa redditività incomincia a calcolarsi dopo dieci. Inoltre, spesso dipendere da un unico acquirente, anche se di straordinaria solidità (Ferrero), può essere un rischio strategico da non ignorare. Ma queste sono le esigenze del Mito e sottrarsene è impossibile.

Ogni considerazione razionale che si scontra con il Mito è destinata a soccombere, quindi non è il caso. Alla Nutella potremo fare molte critiche. Ma tutte diventano irrilevanti, scompaiono davanti a ciò che il dolce prodotto significa nel profondo. Non solo un piacere morbido e dolce nel quale annegare le (numerose) amarezze quotidiane: troppo semplice! La Nutella, ogni volta che la gustiamo, ci ricorda che l’esistenza umana – anche in un’epoca di supersviluppo tecnologico e di straordinaria disponibilità di conoscenze – continua ad essere dominata da scelte irrazionali e imprevedibili, dal mito anziché dalla ragione, come se l’epoca di Dioniso continuasse a signoreggiare su quella di Apollo. E questo è il piacere più profondo della vita che tutti cercano.

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