Non è stata ancora definita con sicurezza una specifica causa medica in grado di spiegare la morte in culla ovvero la Sids (Sudden infant death syndrome), ma gli scienziati potrebbero aver trovato una risposta nelle mutazioni genetiche. È quanto emerge da uno studio inglese e statunitense pubblicato sulla rivista The Lancet.

La patologia è la principale causa di morte post-neonatale nelle nazioni ad alto reddito, ma le morti sono rare. In genere, colpisce bambini di età compresa tra i 2 e i 4 mesi e causa 2400 morti ogni anno negli Stati Uniti e circa 300 nel Regno Unito. La causa del disturbo è finora sconosciuta, ma una componente importante di analisi è la mancata corretta regolazione della respirazione. È noto come mettere i bambini a dormire sulla schiena e non dormire nello stesso letto di un genitore permetta infatti di ridurre il rischio.

Lo studio ha esaminato la prevalenza di mutazioni nel gene Scn4a. Le sue mutazioni sono associate a una serie di disturbi genetici neuromuscolari come miotonia, paralisi periodica, miopatia e sindrome miastenica, e alle pause potenzialmente letali nella respirazione e negli spasmi delle corde vocali che rendono difficoltosa la respirazione o il parlare. Lo studio ha analizzato alcuni bambini di origine europea morti per sindrome di morte infantile improvvisa nel Regno Unito e negli Stati Uniti ed è stato appurato come molte delle vittime avevano la mutazione del gene.

“Il nostro studio è il primo che collega una causa genetica dei muscoli respiratori più deboli con la sindrome della morte infantile improvvisa e suggerisce che i geni che controllano la funzione respiratoria possono essere importanti in questa condizione. Tuttavia saranno necessarie ulteriori ricerche per confermare e comprendere appieno questo legame – afferma Michael Hanna, del centro di malattie neuromuscolari dello University College di Londra -. Mentre ci sono trattamenti farmacologici per bambini e adulti con disturbi neuromuscolari genetici causati da mutazioni del gene Scn4a, non è chiaro se questi trattamenti possano ridurre il rischio di morte improvvisa del neonato. Ulteriori ricerche sono essenziali prima che questi risultati possano diventare rilevanti per i trattamenti”.

Lo studio su The Lancet

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