C’è stato un periodo in cui la pallavolo era l’Italia. Era l’inizio degli anni ‘90, erano gli anni della generazione dei fenomeni. E uno dei protagonisti di quel miracolo sportivo durato un decennio porta il nome di Paulo Roberto de Freitas, che tutti conoscevano come Bebeto. E’ stato l’ultimo ct a portare la Nazionale azzurra sul tetto del mondo, 20 anni fa, dopo aver sconvolto il campionato italiano con la pallavolo totale della sua Maxicono Parma. Lui, brasiliano preso in prestito dagli azzurri, ha sempre dato il merito ai suoi giocatori per quel gioco spettacolare: “Non si può prendere l’acqua dalla pietra o il latte dai cani”, spiegava solo due anni fa, parlando sempre con quella cadenza un po’ portoghese un po’ parmigiana che lo rendeva buffo ed erudito allo stesso tempo. E’ morto nel pomeriggio brasiliano di martedì 13 marzo a Belo Horizonte, colpito da un infarto: aveva 68 anni.

Ci sono stati gli olandesi, Johan Cruijff e il Mondiale del 1974, e poi c’è stato Bebeto e la sua Maxicono. Sempre di gioco “totale” si parla, in questo caso con la palla a spicchi: giocatori che fanno tutto o quasi, palleggiatore che alza verso ogni zona del campo, qualche volta anche verso i raccattapalle. Questa era la filosofia di Bebeto, tanto brasiliana all’apparenza. In realtà la sua pallavolo era sì bella e veloce, ma soprattutto pratica ed efficace. Credeva nell’idea che è dalla quantità che si trova la qualità, una convinzione sviluppata negli anni passati a studiare lo sport a stelle e strisce. Sulla panchina di Parma in cinque stagioni ha vinto due scudetti, una Coppa Italia e due Coppe Cev.

Quando arriva alla Maxicono nel 1990, il campionato italiano è la massima espressione della pallavolo mondiale. Per competitività “era secondo solo alla Nba di basket”, dirà poi Bebeto. E Parma è una delle roccaforti della ribalta azzurra: la squadra ha appena vinto lo scudetto, ma ha dovuto salutare Andrea Zorzi, uno dei suoi talenti. Bebeto riuscirà a tenerla al top per altri cinque anni, allenando giocatori come Marco Bracci, Pasquale Gravina e Andrea Giani, per citarne tre di quella generazione di fenomeni. Poi, con l’addio dello sponsor, è finita anche la stagione dei successi e della città ducale come uno dei tempi della pallavolo italiana.

E’ stato lo stesso Carlo Magri, presidente a Parma e poi della Federazione, a chiedere a Bebeto di prendere il testimone di colui che da ct della Nazionale azzurra aveva vinto tutto (tranne l’Olimpiade), Julio Velasco. Bebeto accetta. L’Italia passa dalle mani di un argentino a quelle di un brasiliano. Dopo un anno di assestamento, in cui in pratica gli azzurri perdono tutte le finali, nel 1998 a Tokyo arriva il terzo titolo mondiale consecutivo. Sarà anche l’ultimo per l’Italia. Bebeto lascia e al suo posto arriva Andrea Anastasi, ma ormai la generazione dei fenomeni sta per sbiadire.

Prima di Parma, dell’Italia, del Mondiale, il Bebeto giocatore aveva vinto 11 titoli brasiliani con il Botafogo. Era palleggiatore, quel ruolo che ti porta naturalmente a essere già allenatore in campo. Sulla panchina brasiliana aveva guidato un’altra generazione, quella “d’argento” alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Oltre a un giocatore e un allenatore vincente, Bebeto è stato anche custode della memoria collettiva della pallavolo. Era già presente al Mondiale del 1970 in Bulgaria, dove racconta di aver visto per la prima volta fare una Pipe – l’attacco dalla seconda linea dal centro. “Non sono stati i polacchi i primi, era un centrale dell’Ungheria”, spiegava alla platea in una delle sue ultime apparizioni in Italia, nel gennaio 2016. Disse anche che per l’Italia il periodo degli anni ‘90 non tornerà mai più. Tra le leggende dello sport azzurro che segnarono quella stagione c’è un posto anche per lui. Per Paulo Roberto de Freitas, detto Bebeto.

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