Due miliardi di euro per riportare le Olimpiadi a Torino. O almeno così sperano sotto la Mole, visto che il Coni sembra pensarla diversamente. Il sogno olimpico di Giovanni Malagò non è finito con la stroncatura di Roma 2024: se l’occasione per i Giochi estivi è sfumata con il no della sindaca Virginia Raggi, perché non riprovarci con quelli invernali del 2026 (che nessuno vuole più: la vittoria sarebbe quasi assicurata). Con un paio di precauzioni, però: tenersi lontano dalla Capitale, e magari pure dal Movimento 5 stelle visti i precedenti. Ecco perché nonostante lo slancio dei piemontesi, la favorita per la candidatura (e chissà, forse anche per la vittoria finale) è Milano.

RICANDIDATURA LOW COST – Intanto Torino prova a giocare d’anticipo, facendosi avanti con il “mini-dossier” preparato dalla Camera di Commercio: l’idea è riportare le Olimpiadi invernali in città, 20 anni dopo l’edizione tutto sommato positiva del 2006, facendo leva su quella esperienza e soprattutto sulla sua eredità. “Valorizzeranno gli investimenti già fatti, privilegiando il riutilizzo e il rilancio dell’esistente”, ha detto il presidente Vincenzo Ilotte. La tesi è semplice: visto che c’è già un patrimonio infrastrutturale di 1,86 miliardi di euro, ricandidare Torino può essere economicamente vantaggioso. Certo, non tutti i vecchi impianti sono messi benissimo (la pista di Cesana è chiusa, il villaggio olimpico abbandonato e occupato da immigrati) però in linea di massima ristrutturare dovrebbe costar meno che costruire da zero. E poi le infrastrutture accessorie (metropolitane, strade, aeroporti) furono già realizzate allora.

UN MILIARDO DI SPESA – Così si arriva alla “candidatura” low cost, ma non proprio regalata come le premesse farebbero pensare: due miliardi di euro in totale (circa la metà dovrebbe arrivare dai contributi Cio per organizzazione e gestione dell’evento). Quindi la spesa effettiva sarebbe inferiore al miliardo: 170 milioni per il rinnovamento degli impianti esistenti (ma la pista di bob a Cesana e il trampolino di Pragelato vanno completamente ripensati); 500 milioni per la costruzione del villaggio per media e atleti (di cui il 30% da fondi privati, con recupero del patrimonio esistente e un aumento dell’offerta di edilizia sociale nel post evento); 50 milioni per adeguare autostrade, aeroporti e stazioni. Così il costo sarebbe inferiore di un miliardo a quello di Torino 2006, quando il budget superò i 3 miliardi. Certo la realtà è sempre stata un po’ diversa rispetto agli annunci, almeno nel recente passato: per Sochi 2014 la Russia ha speso una cifra imprecisata vicina ai 50 miliardi per la megalomania di Putin, Pyeongchang ha quasi raddoppiato il budget iniziale passando da 8 a 13 miliardi di dollari, Pechino per il 2022 ne spenderà almeno 4. Torino (o meglio, la Camera di Commercio, nemmeno gli organizzatori veri e propri) promette di abbattere i costi, aggrappandosi alle nuove linee guida del Cio. Ma è una partita che probabilmente non riuscirà mai neanche a giocare.

IL CONI PUNTA SU MILANO (DOVE NON C’È IL M5S) – Il Coni, infatti, ha un’altra idea in testa: candidarsi sì alle Olimpiadi 2026, ma con Milano. Dopo il no per Roma 2024, Malagò ha avviato un percorso proficuo con l’altra grande città italiana, dove ha trovato amministrazioni disponibili: al Comune il sindaco renziano Beppe Sala, alla Regione la Lega (prima di Maroni, ora del suo vice Fontana) che sogna da anni di portare i Giochi nel Nord. E la vittoria della sessione Cio 2019 ne è la prova. Milano ha un nome più altisonante a livello internazionale, non è lontana dalle grandi montagne della Valtellina. Soprattutto, però, ha il vantaggio di non essere governata dai 5 stelle: in realtà, il Movimento torinese non è così ostile al progetto olimpico come lo era quello romano (a fronte di 5-6 oltranzisti del no, la maggioranza sembra disponibile alla trattativa). La stessa Chiara Appendino non ha mai chiuso la porta (e pare stia seguendo con attenzione tutto il dossier), ma stavolta al Coni preferiscono evitare brutte sorprese. In questo schema, Torino ospiterebbe solo una o due discipline, la candidata sarebbe Milano. Ci sarebbe pure una controindicazione, che i piemontesi sperano di sfruttare a loro vantaggio per tornare in corsa: le regole prevedono che la città che ospita la sessione Cio 2019 dove verrà fatto l’annuncio (Milano, appunto), non possa essere in gara anche per l’assegnazione di quell’edizione. Ma è solo un cavillo, facilmente superabile dopo la doppia aggiudicazione Parigi-Los Angeles senza precedenti di Lima e in virtù dei buoni rapporti di Giovanni Malagò (presto anche membro Cio) con il grande capo Thomas Bach. Una cosa è certa: un anno e mezzo dopo il gran rifiuto della Raggi, la macchina olimpica è quasi pronta a rimettersi in moto.

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