Torna d’attualità la separazione della rete telefonica dal gestore Tim con la creazione di una società ad hoc controllata dall’ex monopolista. A proporla è stata la stessa Telecom in un incontro al ministero dello Sviluppo economico con un progetto che piace al ministro Carlo Calenda. Ma la partita non è affatto in discesa e rischia di essere condizionata dal risultato delle prossime elezioni. Non a caso il piano verrà presentato al consiglio di amministrazione di Tim il 6 marzo quando il quadro politico sarà più chiaro. Intanto non è un mistero che per il ministro Calenda la separazione “legale” della rete da Tim sia solo un primo passo di un più ampio progetto finalizzato a concentrare tutti gli investimenti in fibra, pubblici e privati, su un unico operatore.

Calenda spera infatti che, dopo aver separato la rete, Tim possa quotare la nuova azienda a Piazza Affari aprendo il capitale ad altri soci. Se così fosse, ci sarebbero le condizioni per un’alleanza con la rivale Open Fiber. Magari grazie al contributo della Cassa Depositi e Prestiti, che assieme all’Enel è socia di Open Fiber. Il piano è decisamente molto ambizioso. E nulla vieta che Tim possa cambiare idea come del resto già avvenuto in diverse occasioni in passato. Lo sa bene il consigliere Tim, Franco Bernabé, che da presidente di Telecom non riuscì a trovare la quadra sulla valutazione dell’infrastruttura che è a garanzia di circa 31 miliardi di debiti lordi. Per Tim, infatti, la rete resta un asset vitale dal valore compreso fra i 10 e i 14 miliardi. Non la pensa così la Cassa Depositi e Prestiti che ritiene che l’infrastruttura possa valere al massimo 7-8 miliardi. Difficile insomma trovare un punto d’incontro che inevitabilmente riguarderà anche il numero di dipendenti che entreranno a far parte della nuova società della rete in uno scenario in cui Tim ha già annunciato un piano da 7.500 esuberi volontari.

Non a caso, a margine dell’incontro, Calenda ha ammesso che la scorporo della rete è un’ipotesi di lavoro “dibattuta da vent’anni”, ma per la quale “per la prima volta c’è un piano”. Tuttavia sulla possibilità di una successiva quotazione della società della rete, il ministro ha smorzato i facili entusiasmi precisando che “adesso abbiamo un pezzo. Prima bisogna fare tutti i passaggi”. Una frase che lascia intuire la complessità di un dossier che è al centro dei pensieri dell’Agcom. L’autorità guidata da Angelo Cardani si trova infatti in una posizione assai delicata: dovrà esprimersi sull’idea di separazione della rete e al tempo stesso è chiamata a vigilare sull’azionista di controllo di Tim, Vivendi, che è anche socio di Mediaset e che ha promesso di affidare entro il 19 aprile ad un trust indipendente il pacchetto di azioni detenuto nell’azienda della famiglia Berlusconi. Un compito quanto mai delicato per i vertici del garante delle comunicazioni a un anno dalla scadenza del mandato e in uno scenario politico in cui il Pdl potrebbe tornare protagonista incidendo direttamente sul futuro digitale del Paese.

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