Spesso minacciava la sua vittima con tono aggressivo, altre volte faceva appello alla disperazione. “Se oggi non mi mandi il vaglia giuro sui miei figli che sabato ti mando a schiattare la testa”. Oppure: “Non mi rovinare capiscimi” scriveva a un venditore ambulante suo debitore Salvatore Longo, arrestato dalla Dia di Padova dopo una latitanza di oltre dieci anni tra gli Stati Uniti e il Messico. Imparentato col clan Licciardi, sulla sua testa pendeva una condanna a 9 anni di carcere per i reati di estorsione e usura, a cui si aggiungono falso e sostituzione di persona. Nella città messicana di Tijuana, era arrivato dopo un primo periodo di latitanza in California. Qui Longo, napoletano, 45 anni, viveva con documenti contraffatti, sotto il falso nome di Francisco Javier Gonzales.

Tassi d’interesse del 200% – Nella zona del lago di Garda, secondo la Dia numerosi commercianti del settore abbigliamento erano incappati nell’attività usuraia di Longo. Uno di loro, per saldare il debito era stato addirittura costretto a consegnare al suo aguzzino una BMW 530. Somme da pagare che lievitavano in un batter d’occhio: in quest’ultimo caso Longo aveva quasi raddoppiato il debito per un prestito solo di pochi mesi. A fronte infatti di una fornitura di abbigliamento di 40mila euro, il debitore era stato costretto a restituirne 74mila con assegni post datati di 150 giorni. “L’interesse preteso (incorporato nel valore artatamente sovrastimato della merce) era di 34mila euro per cinque mesi, che corrisponde a un interesse annuo teorico del 204%”, si legge nella sentenza del Tribunale di Verona divenuta esecutiva nel 2012. Condizioni proibitive, ma accettate dalla vittima in difficoltà economica perché era l’unico modo per rifornirsi della merce.

L’estorsione anche dagli Usa – Un debito che però si era poi rivelato difficile da ripagare. E così era cominciata l’estorsione, prima con minacce e violenze fisiche, e poi proseguita con sms quando Longo, per sfuggire alla giustizia, era scappato negli Stati Uniti. Da lì, infatti, attraverso un numero americano che secondo gli inquirenti è chiaramente riferibile a lui, bersagliava di messaggini minacciosi il suo debitore in Italia. “Mi dispiace dei tuoi problemi ma adesso io ho più problemi di te, tu sei un bravo ragazzo per questo fino ad adesso non ti ho fatto niente”, gli scriveva. E ancora: “Se lunedì non mi mandi 1500 succede che mi metto nell’aereo e vengo a Calvisano e succede che mi devono solo arrestare per fermarmi”. Come confermato dalla vittima, nelle minacce Longo ricordava spesso anche la sua parentela con la famiglia camorristica Licciardi, che ha interessi nella zona Nord di Napoli e a Scampia. Longo, infatti, ha sposato la sorella di Ciro Cardo, anche lui condannato per usura nello stesso processo, cognato del boss Pietro Licciardi oggi detenuto al 41 bis.

Pizza e documenti falsi – Le condanne del 2012 non sono i primi guai con la giustizia di Longo. Dichiarato fallito dal tribunale di Napoli nel 2000, era stato poi condannato nel 2002 dal tribunale di Varese per truffa in concorso. Il suo nome spuntava anche nell’indagine della Dia di Napoli e Padova che nel 2005 portò alla cattura in provincia di Venezia del boss latitante Vincenzo Pernice, anche lui cognato di Pietro Licciardi e figura di spicco dell’Alleanza di Secondigliano. A Tijuana Longo viveva con la moglie e le due figlie piccole. Ufficialmente gestiva una pizzeria: rimane ancora da chiarire, spiegano gli investigatori, se l’attività costituisse una copertura per il riciclo di denaro. A tradirlo sono stati i documenti falsi che si era procurato per vivere in Messico sotto falso nome. Una volta espulso perché irregolare, all’aeroporto di Madrid Longo è stato poi arrestato con un mandato di cattura europeo.

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