Sofia De Barros è morta e con lei spariscono anche le eventuali ultime illusioni del cosiddetto metodo Stamina. Sofia, bambina di sette anni malata di leucodistrofia metacromatica, una patologia genetica gravissima e molto rara, non ce l’ha fatta e ha smesso di respirare la sera del 30 dicembre. A dare la notizia della scomparsa della bimba nata senza problemi ma che a un anno e mezzo aveva cominciato a zoppicare, paralizzatasi in pochi mesi e divenuta poi anche cieca, sono stati il papà Guido De Barros e la mamma Caterina Ceccuti, giornalista fiorentina e scrittrice, con un post scritto sul profilo Facebook. “Ieri sera la nostra piccola straordinaria bambolina Sofia è volata in cielo direttamente dalle braccia di mamma e babbo. Ora per lei non esiste più dolore, c’è solo l’amore. Per chi volesse salutare insieme a noi la nostra bambina comunicheremo i dettagli della cerimonia non appena potremo. Grazie a tutti quelli che l’hanno amata e a tutti quelli che la ricorderanno nelle loro preghiere. Cate e Guido”. Per la bimba si erano mobilitati anche personaggi noti, come Adriano Celentano e Fiorello, e in seguito al tam tam mediatico il ministro della Sanità Renato Balduzzi nel 2013 emise un comunicato con cui dava via libera al proseguimento delle infusioni dopo una prima che era stata già effettuata a Brescia.

Sofia De Barros, simbolo del metodo Stamina – Sofia, bambina “farfalla” come vengono chiamati i piccoli deceduti a causa della leucodistrofia metacromatica, nel 2013 era diventata il simbolo del cosiddetto “metodo Stamina”, sistema definito dalla comunità scientifica italiana una “illusione vergognosa estraneo ad ogni evidenza scientifica”. Sofia aveva effettuato infusioni agli Spedali Civili di Brescia ed era stata al centro di battaglie legali per riprenderle prima che il metodo che utilizzava cellule staminali mesenchimali a fini terapeutici ricevesse parere negativo da due commissioni ministeriali. Anche il programma Le Iene raccontò la storia di Sofia e la speranza dei suoi genitori di poter vedere la loro figlia guarire. Il metodo Stamina è stato propagandato in Italia da Davide Vannoni, laureato in lettere, presidente e fondatore di Stamina Foundation attraverso cui avvicinava i pazienti e le loro famiglie. Per quell’attività nel 2015 Davide Vannoni ha patteggiato una pena di un anno e 10 mesi per truffa e associazione a delinquere. Nell’ottobre 2014 il cosiddetto metodo Stamina è stato bocciato da due commissioni incaricate dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, costituite da un comitato di scienziati esperti in materia, incaricati di valutare gli eventuali presupposti per una sperimentazione. Nonostante questi fatti Vannoni ha proseguito la sua attività in Georgia, ragione per cui è stato arrestato nella sua casa di Moncalieri il 26 aprile scorso per associazione a delinquere con l’aggravante della transnazionalità, oltre che truffa aggravata e somministrazione di farmaci considerati non conformi.

Telethon: “Sviluppare una terapia è un processo molto lungo e delicato. Occorrono una serie di tappe essenziali che consentano di dimostrarne la sicurezza e l’efficacia” Tra gli altri contro il metodo Stamina si è da sempre schierata anche Telethon. La fondazione italiana, tra le charity internazionali leader negli studi scientifici sulle malattie genetiche rare, aveva preso subito le distanze senza se e senza ma da Vannoni, pur esprimendo “solidarietà ai genitori dei bambini affetti da malattie ancora incurabili”. “Come loro – aveva spiegato in merito al caso di Sofia Francesca Pasinelli, direttore generale della Fondazione Telethon – “vogliamo che la ricerca arrivi al più presto a fermare questa sofferenza. Noi ricercatori, clinici e operatori di Telethon siamo impegnati quotidianamente nella lotta contro le malattie genetiche proprio su mandato delle associazioni dei pazienti e conosciamo bene la solitudine e la frustrazione di chi, come i genitori della piccola Sofia, combatte contro patologie che procedono inesorabili e immensamente più potenti dei nostri sforzi”. “Sviluppare una terapia – ha precisato Pasinelli – è un processo molto lungo e delicato, che coinvolge numerosi soggetti e richiede competenze e risorse diverse in termini economici, di tempo e di persone. Affinché una terapia possa essere definita tale, occorre che abbia superato una serie di tappe essenziali che consentano di dimostrarne la sicurezza e l’efficacia per il paziente, prima in laboratorio e poi con la sperimentazione sui pazienti”. E ancora: “Derogare a tutto ciò e chiamare terapie trattamenti sviluppati al di fuori delle regole condivise dalla comunità scientifica significa danneggiare innanzitutto i pazienti ma può persino compromettere lo sviluppo corretto e le future applicazioni delle nuove terapie, come quelle con cellule staminali”. Stesso concetto poi ribadito da Luigi Naldini: “Oggi – aveva spiegato in una lunga intervista a Ilfattoquotidiano.it Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Tiget) di Milano – nascere con una malattia rara, come ad esempio la leucodistrofia metacromatica, non è più una condanna a morte certa”, dal momento che “sono stati fatti importanti passi avanti grazie alla ricerca scientifica effettuata anche in Italia”.

L’ultimo saluto a Sofia I genitori della bambina, negli ultimi anni, tra le varie cose hanno anche fondato Voa Voa amici di Sofia Onlus per sostenere le famiglie colpite da patologie rare e gravissime, ancora orfane di cure. La mission dell’associazione è “promuovere campagne di sensibilizzazione e aiutare a finanziare la ricerca che incoraggia progetti orientati al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini già sintomatici, spesso invisibili, in quanto rari e compromessi irrimediabilmente dalla malattia”. Voa Voa crede nella “cultura dell’Inclusione” che si oppone alla “logica dello scarto”, si legge sul sito della Onlus che su Twitter scrive: “Riportiamo le parole dei genitori della nostra Sofia e ci uniamo al loro dolore”. Tanti i messaggi di cordoglio. L’ospedale pediatrico Meyer di Firenze in una nota esprime “vicinanza a Guido De Barros e Caterina Ceccuti nel loro dolore e si impegna a proseguire con forza nella ricerca di nuove prospettive terapeutiche e diagnostiche per le malattie congenite rare”.

 

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