Il fenomeno delle fake-news esiste anche nella pubblicità? Il fake-advertising ha dimensioni anche maggiori.

Il principio della comunicazione pubblicitaria si basa sulla esigenza che quest’ultima debba essere riconosciuta come tale. È ovvio che davanti ad un esplicito comunicato commerciale si attivino tutte le remore del caso, mentre di fronte ad un comunicato che promuove un prodotto senza che sia evidente la sua natura pubblicitaria, il consumatore può essere indotto a percepire il comunicato come una vera e propria informazione. Le qualità del prodotto esaltate nella palese pubblicità sono intese dal consumatore come puramente elogiative e soggette a verifica, nel secondo caso le qualità diventano quasi oggettive. Il fenomeno è denominato pubblicità occulta.

Nelle fake-news avviene lo stesso processo: si presenta una notizia come fosse informazione quando invece non lo è.

Si tratta di falsi in entrambi i casi, con i quali si inganna il telespettatore. Nel caso della pubblicità occulta l’inganno è rivolto al consumatore, di riflesso al sistema pubblicitario e la concorrenza viene stravolta.

Il fenomeno è diffuso, in particolare nel web. Nei media tradizionali il controllo è piuttosto puntuale e si svolge grazie agli stessi operatori. Il sistema si basa sull’autodisciplina (IAP, Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) che dà maggiori garanzie di controlli e sanzioni celeri e certe. L’elemento che frena la diffusione della pratica è che per i mezzi di comunicazione la pubblicità indiretta rappresenta un mancato introito e quindi sono gli stessi networks ad attivare ferrei controlli interni che di fatto limitano il fenomeno.

Esiste anche una fake-advertising più subdola. È il condizionamento che i grandi investitori pubblicitari esercitano sulla linea editoriale dei mezzi. Quando la sopravvivenza economica di un mezzo dipende da un grande inserzionista è difficile che diventi oggetto di inchieste particolarmente pungenti. Insomma il nesso fra pubblicità e linea editoriale è molto più stretto di quanto si possa supporre. Report è uno dei pochi programmi che ha fatto un servizio particolarmente critico su un’importante società petrolifera mettendo a rischio il budget destinato alla Rai.

La constatazione che la pubblicità si limiti a pagare solo gli spazi è una pia illusione, si richiede anche che la programmazione sia consona ai messaggi pubblicitari, pretesa che i mezzi assecondano, nell’ottica di incrementare i ricavi. La missione di un mezzo commerciale è vendere la pubblicità: con questo dato di fatto bisogna confrontarsi quando si parla delle libertà nell’informazione.

Va rilevato che nei grandi media classici, dalla Tv ai quotidiani, la trasparenza predomina. La professionalità di molti operatori dell’informazione, la maturità dell’opinione pubblica sempre più sensibile a contestare le classiche “marchette”, la presenza qualificante della Rai (che in questo specifico campo svolge un utile fattore di riferimento sulla “pulizia” della comunicazione), fanno sì che il fenomeno descritto, sui vantaggi ai big spender, sia limitato. La scelta è spesso quella di non affrontare da parte dei media temi troppo “caldi”.

È sul web, grazie anche alla sua smisurata dimensione, che la falsa-pubblicità spadroneggia, come peraltro le fake-news. Sarebbe importante, per frenare il fenomeno, riprendere quanto fatto per i media classici, gli stessi operatori cioè dovrebbero dotarsi di strumenti di controllo e di autodisciplina pubblicitaria e dovrebbero rispettare gli obblighi di legge sull’informazione. Un deterrente sarebbe anche quello d’imporre agli autori di non usare pseudonimi e che i siti d’informazione diffondano l’elenco degli sponsor.

Internet ha enormi potenzialità come strumento pubblicitario, al pari della Tv. Per evitare però che la pubblicità sia drenata dai grandi player internazionali, sarebbe bene che siano gli stessi operatori a farsi portatori della “pulizia” della loro comunicazione.

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