È iniziato tutto anni fa durante alcuni controlli di routine dei finanzieri nei confronti delle autobotti che trasportano benzina, gasolio e gpl. Prima un carico sballato: dichiarava meno litri di quanti effettivamente trasportati. Poi due, tre, quattro e così via. In un primo momento le Fiamme gialle hanno pensato a un giro di contrabbando di carburanti: l’autotrasportatore usciva dai depositi ufficiali con il numero di litri dichiarati e poi rabboccava altrove, sul mercato clandestino.

La sorpresa è arrivata quando è stata incrociata la provenienza dei carichi, sempre la stessa: depositi e raffinerie dell’Eni. Le autobotti si rifornivano a Taranto, Gela, Vado Ligure, Pavia e Piacenza, Livorno, Gaeta, Napoli, Palermo e giù fino a Pantelleria. Erano decine i punti di stoccaggio nelle 13 principali regioni, secondo i militari della Guardia di Finanza, che vendevano molta più benzina di quanta ne veniva contabilizzata, grazie a un trucchetto degli strumenti di misurazione. Gli investigatori si dicono certi di aver accertato “la sottrazione al pagamento delle accise gravanti su quasi 40 milioni di litri di prodotti, con conseguente evasione di circa 10 milioni di euro di tributi”.

Così oggi sono scattati i sigilli agli impianti su disposizione del gip del Tribunale di Roma su richiesta della procura della Capitale, che ha iscritto nel registro degli indagati 18 persone. Quattordici di queste sono dipendenti Eni, quasi tutti direttori e responsabili operativi di depositi e raffinerie. Al momento, non sono indagati i loro superiori. Gli altri quattro finiti sotto inchiesta sono dipendenti degli Uffici metrici di Roma, Pavia e Livorno. Il sequestro voluto dal giudice per le indagini preliminari è così imponente che Eni si è affrettata a dichiarare che l’operazione porta al “fermo totale delle attività di raffinazione e rifornimento di carburanti” e quindi “richiederà la possibilità di utilizzo dei misuratori” così da “ridurre per quanto possibile al minimo l’impatto verso i clienti“.

Di fatto, secondo la Guardia di finanza, il ‘sistema’ ideato era “inidoneo a garantire la necessaria affidabilità ai fini fiscali” e per questo agli indagati vengono contestati a vario titolo violazioni del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi – sottrazione di prodotto al pagamento dell’imposta, alterazione di misuratori e sigilli – e del codice penale (uso di strumenti di misura alterati, predisposizione di falsi verbali e attestazioni, abuso d’ufficio).

“Le indagini del Nucleo di polizia tributaria di Roma – spiegano i finanzieri – che hanno valorizzato anche le parallele e convergenti attività investigative affidate dalle procure di Prato e Frosinone ai reparti di Firenze e Frosinone, hanno riguardato condotte illecite commesse, in particolare, nella delicata fase dell’estrazione dai depositi fiscali di Gpl, gasolio e benzina, momento in cui sorge il debito d’imposta“.

Anche attraverso l’esame di documenti e supporti informatici di Eni, oltre ai controlli sulle strade che hanno dato il via all’inchiesta, gli investigatori hanno scoperto che “la frode veniva realizzata mediante la manomissione degli strumenti di misurazione“, le cosiddette testate, “e dei sigilli apposti sugli stessi dall’amministrazione finanziaria a tutela della loro immodificabilità”, oltre una modifica “arbitraria delle variabili di volume, temperatura e densità dei carburanti e l’alterazione informatica delle ‘testate’, anche ‘da remoto'”.

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