Molti anni fa venne da me una ragazza di 17 anni per attacchi di panico. Mi raccontò che da circa due anni bazzicava il mondo della moda tentando di divenire modella. La costante era che fotografi, procuratori e futuri ipotetici datori di lavoro la palpeggiassero e facessero avance esplicite. Lei non aveva avuto rapporti sessuali completi con nessuno, ma accettava questi contatti sessuali parziali e improntati alla violenza perché “così fan tutte” e “non si può entrare in questo mondo senza pagare pedaggio”. Presumibilmente, i vari personaggi si fermavano ai preliminari perché consapevoli che era minorenne. Lei dal suo punto di vista, con l’appoggio dei genitori con cui parlava di questi eventi, aspettava per iniziare una relazione la persona giusta, abbastanza potente e introdotta nel mondo delle modelle da permetterle di emergere. Recentemente è passata dal mio studio per farmi vedere il bambino che le è nato.

Mi ha raccontato che è un’impiegata sposata da alcuni anni. Non ha mai svolto l’attività di modella, ma non è scontenta. Anzi, è felice di aver abbandonato quel mondo.
Una ventina di anni fa ho visitato un uomo, allora di 42 anni, molto ricco e titolare di una fiorente industria. Intratteneva relazioni altamente instabili con tante ragazze e sfruttava a questo scopo il suo ruolo di datore di lavoro. Le relazioni, molto intense, duravano dalla settimana al mese e terminavano sempre perché lui si sentiva insoddisfatto. Era consapevole che molte ragazze accettavano le sue avance perché lui era il datore di lavoro. Quando gli feci notare che invitare una donna nel suo ufficio di titolare d’azienda per poi provare a baciarla e a palpeggiarla era quantomeno scorretto e poteva configurarsi come una vera e propria violenza psicologica e sessuale lui, inizialmente, parve non rendersi conto della gravità dei suoi gesti. Dopo alcuni mesi smise queste pratiche scorrette e costruì finalmente una relazione più stabile e matura emotivamente.

Questi due casi clinici mi sono tornati alla mente leggendo sui giornali le denunce mediatiche delle aspiranti attrici verso registi e produttori cinematografici. Ma cosa induce una persona che esercita un potere economico, sociale o lavorativo a sfruttarlo a scopo sessuale? E cosa induce alcune vittime a non ribellarsi? Nel suo saggio Totem e tabù Sigmund Freud ipotizza che l’orda primitiva si caratterizzasse per la presenza di un padre padrone e geloso di tutte le donne del branco. Secondo questa concezione, quindi, l’idea del potere economico e sociale nell’inconscio è strettamente collegata al potere sessuale.

Si può ipotizzare che gli uomini e le donne dotati di mezzi economici e posizione sociale usino la sessualità come mezzo per ribadire e consolidare la loro sensazione di potere. Lo scopo non è più quello di provare un piacere a livello degli organi genitali e neppure quello di esprimere un’emozione affettiva provata verso l’altro ma essenzialmente un mezzo surrogato per sentirsi potenti. Noi psicoanalisti potremmo ragionevolmente ritenere che le persone che esercitano questo tipo di violenze sessuali si sentano inconsciamente impotenti. Nel caso che prima ho citato, in effetti il padre del paziente, che aveva costruito dal nulla il suo impero economico, aveva sempre sminuito il figlio facendolo andare in fabbrica senza reali poteri a “scaldare la sedia” per trovare ogni occasione per denigrare il suo operato.

Il paziente si sentiva un “coglione” perché rimaneva all’ombra del padre e non aveva il coraggio di lasciare la ditta per iniziare un suo autonomo percorso di vita.
Fortunatamente molte vittime di queste profferte sessuali si ribellano e hanno autostima sufficiente per raccontarlo o denunciare. Parecchie vittime però in qualche modo accettano le violenze con l’idea di poter trasformare l’uomo o la donna che le esercita.

Attraverso il loro attaccamento e la loro dedizione immaginano di non rimanere in eterno vittime, ma di divenire l’oggetto di amore di chi esercita violenza. In questo modo da soggetto passivo sognano di divenire soggetto attivo che potrà esercitare un potere. Anche in questo caso, il sesso non è più un fine fisico o emotivo ma un mezzo esercitare un potere. Noi psicologi ipotizziamo che la vittima sia in balia di vissuti di impotenza legati ad eventi della propria storia infantile. La ragazza di cui ho parlato all’inizio immaginava di poter intrattenere con un futuro uomo potente una relazione in cui lui, perso d’amore, avrebbe fatto tutto quello che lei desiderava per potersi affermare. Lei che proveniva da una famiglia relativamente povera si era sempre sentita umiliata per il lavoro del padre che, ai suoi occhi, era degradante.

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