Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un sollevarsi di voci di donne che da diverse parti del mondo denunciavano alla stampa molestie e violenze da parte di produttori e registi verso giovani donne e in alcune casi verso giovani uomini.

E’ stata un’onda gigantesca che ha sorpreso tanti: non ci si aspettava che in tante avrebbero parlato. Dopo gli Stati Uniti, dove il caso è iniziato con le accuse verso il produttore Harvey Weinstein, anche in Europa le donne hanno iniziato a parlare e a denunciare le violenze subite. In Italia, alcune hanno denunciato registi e produttori a viso scoperto, altre hanno temuto per il loro futuro lavorativo e hanno preferito non rivelare la loro identità.

Queste manifestazioni di ribellione non sono piaciute a tutti e nemmeno a tutte; si è detto che le donne che non gradiscono avances di tipo sessuale possono sempre rifiutare, che non ha senso denunciare dopo molti anni dal sopruso subito, che ci sono donne che denunciano per ottenere visibilità mediatica, che le proposte sessuali degli uomini verso le donne “esistono da che mondo è mondo” e che dunque sempre esisteranno. Ma il punto di quella che potrebbe essere una reale Rivoluzione non viene centrato da nessuna di queste critiche.

E’ accaduto semplicemente che non possiamo più rispettare uomini che non ci rispettano. L’origine della denuncia è infatti sacrosanta. Non è più ammissibile l’esistenza di contesti lavorativi dove, per avanzare di carriera, si debba offrire in cambio il proprio corpo. Ripeto, la questione non è poter rifiutare (azione che comunque non è sempre praticabile come sappiamo) bensì è rifiutare da oggi che il potere maschile si esprima attraverso ricatti sessuali nel mondo del lavoro.

Credo che i primi a rigettare questa pratica dovrebbero essere gli uomini, che da queste vicende emergono male, come fossero primitivi in preda ad istinti animaleschi non gestibili. La maggior parte degli uomini che conosco non è così, la maggior parte dei ragazzi che incontro nelle scuole non è così.

Si tratta allora di promuovere da oggi, donne e uomini insieme, contesti di lavoro dove ci si confronti in base alle proprie capacità professionali, lasciando la sessualità fuori dalla porta. Perché farlo? Perché non possiamo più non farlo. Perché l’evoluzione di un mondo democratico prevede che i due generi abbiano pari opportunità. Rifiutiamo il sorriso ironico che accompagna spesso la pronuncia del termine “femminismo”!

Anche qui, teniamo il punto: per decenni femminismo ha significato donne che si sono occupate di far rispettare diritti primari, non bazzecole. Quest’anno ricorrono i cento anni del Movimento delle suffragette che combatterono dando in alcuni casi anche la loro vita per ottenere giornate di lavoro che fossero “solo di 12 ore” e non di quattordici; che lottarono per avere aumenti di salario, in quel tempo enormemente inferiori a quelle degli uomini, che chiedevano di restare a casa almeno qualche settimana dopo il parto, anziché portarsi i neonati sulla schiena mentre lavoravano in fabbrica in condizioni spesso disumane.

E’necessario interpretare le denunce di questi mesi come un passo indispensabile verso un mondo più giusto, più equo, sulla scia del cammino intrapreso cento anni fa.

Questi giusti diritti potevano essere reclamati in modo indolore, meno aggressivo?- si chiedono in tanti. Forse, ma tenete a mente che per secoli non ci hanno lasciato alternative. Guardate: da anni chiediamo che le donne siano rappresentate in modo diverso, più realistico e con numeri significativamente più importanti nei media. Lo chiediamo con le buone maniere: nessuno risponde. Anche qui: non ci stanno lasciando alternative a richieste più ferme.

Una rivoluzione culturale e sociale non deve però diventare una caccia alle streghe. Non è il nostro obiettivo che Weinstein sia messo alla gogna, che Kevin Spacey non possa più lavorare o che, terribile e inaccettabile, la moglie di Fausto Brizzi non possa uscire di casa per la presenza costante delle telecamere sotto casa.

I media cercano scalpore, noi donne combattiamo per il rispetto dei nostri diritti. Che la Warner Bros sospenda la collaborazione con Brizzi non ci trova d’accordo: la vendetta non cambierà i nostri destini. Chi ritiene di essere stata molestata gravemente dal regista, è giusto che denunci l’accaduto, ma vengano evitati i sommari processi mediatici.

La Warner Bros continui pure a lavorare col regista e si impegni invece e da subito con azioni positive e utili: più donne nelle produzioni dei films, più donne nei ruoli decisionali: ecco cosa vorremmo e apprezzeremmo. Ci aspettiamo segni concreti e tangibili verso una ridistribuzione equa e giusta del potere.

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