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Centro Olio Eni, perché la lettera dell’ingegnere suicida ci è arrivata 4 anni dopo?

Centro Olio Eni, perché la lettera dell’ingegnere suicida ci è arrivata 4 anni dopo?
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Il poeta Lucio Dalla cantava “Che mondo sarà, se ha bisogno di chiamare Superman?”. Che mondo è quello che ha bisogno di supereroi per andare avanti? È un mondo in cui gli “eroi” di ogni giorno fanno fatica. Nel loro lavoro, nella loro vita privata. Fanno fatica, a volte, a sopravvivere.

Gianluca Griffa non lo conoscevamo. Lavorava per Eni, certo non per Greenpeace. Per la precisione, leggiamo dalle cronache, nel 2013 era ancora responsabile tecnico del Centro Oli (Cova) di Viggiano. E, come responsabile, si era accorto che qualcosa non andava.

Ne aveva parlato ai suoi capi (sostiene in una lettera indirizzata ai Carabinieri i cui estratti sono stati pubblicati dal Fatto Quotidiano) ma “quando parlò ai suoi superiori delle scoperte che aveva fatto, venne invitato «a non parlarne assolutamente», «a smettere di rompere», nonostante – scrisse più avanti, sentendo il peso di ciò che aveva visto – «per la legge forse l’unico responsabile sono io». E quindi “le sue preoccupazioni gli sarebbero costate ferie forzate, rimozione dall’incarico e una convocazione nella sede di Milano il 22 luglio 2013”.

L’ingegner Griffa fu trovato morto pochi giorni dopo quell’incontro con i vertici della sua azienda che oggi sostiene che: “La documentazione degli interventi è stata da tempo presentata a tutti gli organi interessati, con i quali Eni collabora come sempre in maniera piena. Eni ha sempre condotto le proprie attività alla luce del sole, operando con totale trasparenza, e condividendo tutte le informazioni sulle attività, regolarmente autorizzate, in Val d’Agri”.

Curioso: l’ingegner Griffa prima del 2013 si accorge che i serbatoi del Centro Oli di Viggiano sono pericolosamente corrosi e dobbiamo attendere il 2016 per una conferma: almeno 400 tonnellate di idrocarburi sono usciti da quei “bidoni”. Se non c’era trasparenza, aspettavamo la fine del secolo per intervenire su quegli impianti? E quanto avremmo dovuto aspettare perché la lettera del povero Griffa arrivasse all’attenzione della Procura e quindi su alcuni giornali? E con tutta questa trasparenza, come mai alcuni dei maggiori quotidiani del Paese ignorano una notizia tragica, dirompente e fondamentale per capire cosa è successo davvero in Basilicata in questi anni?

E infine, cosa dobbiamo pensare del “suicidio” dell’ingegner Griffa dopo che “una corda che lui stesso aveva comprato, è stata trovata sul ramo di un albero dopo che le forze dell’ordine e i volontari erano già passati nella zona senza trovare nulla”. Quando sapremo se questo normale Superman si è davvero suicidato?

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