Valerio Guerrieri, 22 anni, si è tolto la vita lo scorso 24 febbraio nella cella in cui era detenuto nel carcere romano di Regina Coeli. Per la sua morte il 3 ottobre è stato chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo dei due agenti di polizia Penitenziaria che in quel momento erano in servizio in quella sezione del carcere e che non sono arrivati alla cella del ragazzo in tempo per evitare che si impiccasse: hanno tardato di sette minuti il controllo programmato per chi è a rischio. L’associazione Antigone, attiva nell’ambito dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, farà arrivare il caso sul tavolo del Comitato Onu contro la tortura. Per chiarire, innanzitutto, se Valerio in carcere ci dovesse davvero stare.

Antigone ha seguito il caso fin da subito, dietro richiesta della madre del suicida. È il presidente dell’associazione, Patrizio Gonnella, a intervenire per spostare il focus della questione. “Non vogliamo che si vada alla ricerca di capri espiatori e che tutto si risolva in una questione di mancata sorveglianza – spiega Gonnella – Questa prima parte delle indagini non tiene conto dell’elemento probabilmente principale, ovvero se Valerio Guerrieri si dovesse trovare in carcere o meno. Da quanto evidenziano le memorie della difesa, sembrerebbe infatti di trovarsi dinanzi ad un caso di detenzione che non avrebbe dovuto esserci“.

Il 22enne era stato arrestato in flagranza lo scorso 2 settembre 2016 per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Viene portato al Regina Coeli perché l’abitazione dei genitori viene giudicata non idonea per gli arresti domiciliari. “Tuttavia il giudice – continuano dall’associazione – quasi due mesi dopo, il 25 ottobre 2016, ha modificato questa misura, disponendo la detenzione domiciliare presso la casa dei genitori. Un’ordinanza che non viene mai eseguita. Il ragazzo resta quindi in carcere senza titolo“.

Ma non è l’unica disposizione per togliere Valerio dal carcere che non viene attuata. “La seconda misura cautelare in carcere – prosegue Antigone – viene applicata con un’ordinanza del 21 dicembre 2016. Misura definitivamente revocata il 14 febbraio del 2017, data in cui si conclude il procedimento scaturito dall’arresto. Anche in questo caso, però, non viene data esecuzione al provvedimento di revoca”. E il ragazzo, per la seconda volta, resta al Regina Coeli. Nel frattempo gli viene applicata una misura di sicurezza che prevede il ricovero presso una Rems (le strutture in cui vengono “internati” i non imputabili) in esecuzione di un’altra sentenza del 9 marzo 2015, perché assolto dalle accuse mossegli a quel tempo per incapacità di intendere e di volere. Guerrieri, infatti, aveva già avuto a che fare con la giustizia in precedenza, anche da minore. Ma dal Tribunale per i minorenni era sempre stato ritenuto non imputabile per vizio di mente.

Il 14 febbraio 2017, dunque, il giudice condanna Valerio alla pena di quattro mesi di reclusione ma, come misura di sicurezza, dispone di mandarlo “in una casa di cura in regime residenziale per sei mesi”, con “revoca della misura cautelare della custodia cautelare in carcere”, come ricostruisce Antigone. L’associazione spiega che la decisione era motivata proprio dal fatto che a Valerio era stato riconosciuto “un vizio parziale di mente”: il perito del Tribunale, presente all’udienza del 14 febbraio, aveva detto che era presente “un rischio suicidario non basso, quindi non trascurabile” e che questo era “un elemento che va ovviamente soppesato dal punto di vista trattamentale”. Ma anche questa volta il giovane rimane in cella.

“Il 24 febbraio 2017, giorno in cui si è tolto la vita impiccandosi, Valerio non avrebbe dovuto trovarsi detenuto presso il carcere di Regina Coeli – conclude Patrizio Gonnella – Per questo la difesa ha chiesto alla Procura della Repubblica di Roma di indagare individuando possibili profili di responsabilità in merito alla illegittima detenzione“. Ma l’associazione vorrebbe andare oltre. “Vorremmo che la giustizia si interrogasse intorno a come è stato affrontato dai servizi territoriali e da tutti gli attori del sistema un caso come quello di Valerio Guerrieri. Come mai era in carcere? Come mai per un fatto lieve si può finire nel girone infernale della prigione? È questo un caso di abbandono terapeutico?”. Qualche chiarimento potrebbe arrivare dal ricorso alle Nazioni Unite.

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