Riguardo ai fatti di Barcellona, fanno francamente un po’ pena i commenti dei legalisti ponziopilateschi, pronti a spiegarci come nella giornata di domenica scorsa abbiano perso tutti. Quanti ora pontificano in punta di diritto sulla legittimità di quelle urne che arrivavano avvolte nei sacchi della spazzatura e le schede fai da te, potrebbero arzigogolare pure su requisiti e titoli formali del popolo parigino all’assalto della Bastiglia in quel glorioso 14 luglio 1789. Quando – a prescindere dai calcoli da pesafumo sui torti e le ragioni – qui si è vista all’opera nientemeno che un’epica, cui erano molte le miserabilità a contrapporsi. Il coraggio di chi va contro la violenza più torva e – così facendo – si conquista il diritto al rispetto e all’ascolto della Storia, contro i piccoli calcoli di gentucola politicante.

La prima immagine che balza agli occhi è quella dei pompieri di Barcellona che si frappongono con le loro divise colorate tra gli scherani messi in campo dalla Moncloa, in tenuta antisommossa nera da sembrare la bardatura di Dart Fener, e gli inermi che praticavano la resistenza non-violenta. I bravi pompieri che accorrono sempre dove c’è da tutelare cittadini in pericolo e sedare gli incendi, mentre la Guardia (In)Civil colpiva a sangue donne e anziani, donne anziane. Eroi civili, un po’ come i padri e i nonni inglesi che con le loro fragili flottiglie sfidavano il mare tempestoso della Manica e le mitragliere degli stukas tedeschi, per correre in soccorso dei loro ragazzi intrappolati a Dunkerque dalle armate hitleriane.

E poi la piccola, indomita, alcaldesa, la sindaca di Barcellona Ada Colau, che si inarca in tutta la sua fierezza catalana (forse il tratto prevalente nell’ethos di questo popolo) per spedire in faccia a Mariano Rajoy il più sonoro dei “vigliacco”, “cobarde”. Questo politicante miserrimo che cerca di puntellare il suo fragile governo facendo il muso duro contro quei catalani a cui aveva cancellato, ricorrendo a una Corte costituzionale di espressione partitica, i diritti all’autogoverno concordati dal suo predecessore, il socialista José Zapatero, con l’alcalde socialista Pasqual Maragall nel 2006. Spandendo menzogne sul referendum, smentite dai milioni di votanti e dalle centinaia di migliaia di feriti dalla furia cieca di cui si è assunto l’ignobile responsabilità. Esempio di quella demenza che rende senza ritorno una scelta confusa, che poteva essere aggirata con la ragionevolezza della politica.

Quella ragionevolezza che è stata il grande desaparecido in tale apoteosi della stupidità. Certamente di questo governo madrileno, tenuto assieme con le più penose delle alchimie di Palazzo. Ma anche l’assenza di un monarca travicello come il modesto Felipe, sebbene garante istituzionale del patto di convivenza democratica. Come lo era stato – nei suoi giorni migliori – il padre Juan Carlos, quando nel 1981 bloccò sul nascere il tentativo insurrezionale del ridicolo colonnello Antonio Tejero Molina, con baffo impomatato e cappelluccio di ceralacca, rifiutandosi di avallarne la sovversione.

E che dire dell’Unione europea dei banchieri e dei mercanti, silente e imbarazzata davanti a metodi che riportano uno dei suoi Paesi cardine – l’odierna Spagna, terra di democrazia – ai tempi più cupi del Franchismo. Né possiamo stupirci dell’afasia del titubante governo Gentiloni o dei furbasti che governano gli altri Stati del continente; Francia e Germania in testa. Né modificano il giudizio le solidarietà pelose di opportunisti destrorsi, come i nostri cinquestelle e leghisti.

Così ancora una volta la Catalogna, laboratorio di politiche progressiste, si ritrova da sola. Sensato o meno il suo distacco dallo Stato-nazione spagnolo, nella sua sperimentazione di nuove forme di governo resta sempre l’unico attore di classe in campo. Grazie alla sua peculiare capacità di coniugare la fedeltà al proprio passato con il coraggio nell’affrontare le incertezze del futuro. Sempre in difesa della libertà. Come nel famoso “giuramento catalano” al conte-re, che in pieno medioevo anticipava lo spirito repubblicano: “Noi, che siamo buoni quanto voi, giuriamo a voi, che non siete migliore di noi, di accettarvi come signore sovrano, a patto che osserviate tutte le nostre libertà e leggi. O così, o niente”.

Ancora una volta, “omaggio alla Catalogna”.

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