La Corea del Nord ha svolto il sesto e più potente test nucleare in sfida a Trump, che ha risposto dichiarando il paese “ostile e pericoloso per gli Stati Uniti”. Evidentemente, i timori di una catastrofe raggiungono una nuova dimensione e allarmano tutto il pianeta. Sappiamo che non saranno preoccupazioni facilmente rimovibili, viste le personalità dei due contendenti e la natura annientatrice delle armi in questione. Infatti, la condanna del test è venuta da tutto il mondo e le relazioni tra le diplomazie sono a un punto critico.

Kim Jong-un ha dichiarato di aver provato una bomba a idrogeno che potrebbe essere montata su un missile balistico intercontinentale. Le bombe a idrogeno provocano una fusione tra atomi leggeri che sprigiona enorme potenza e viene innescata da bombe nucleari ordinarie con l’emissione di calore e radioattività d’ordini di grandezza superiori. Sebbene alcuni analisti siano scettici sulla rivendicazione della Corea del Nord, l’analisi iniziale ha indicato che il dispositivo ha causato un’esplosione da quattro a dieci volte più potente delle atomiche su Nagasaki e Hiroshima. Anche se gli aiutanti di Trump hanno parlato di come potrebbe essere necessaria una “guerra preventiva”, il rischio di riaccendere la guerra di Corea è enorme. Dietro questo azzardo si scopre purtroppo un legame ancora inscindibile tra il nucleare militare e quello civile.

Quattro anni sono passati da Fukushima (11 marzo 2011) e quattro dal referendum antinucleare vinto in Italia (12 e 13 giugno 2011) sull’onda della consapevolezza e dei sentimenti suscitati dal disastro giapponese: ma l’obiettivo di rafforzare le ragioni di un movimento globale contro la “megamacchina atomica”, rimangono di importanza letteralmente vitale. Nel valutare l’opzione della fonte nucleare per soddisfare la domanda elettrica, si omette di frequente il nesso che lega l’atomo civile a quello militare. Come infatti trascurare che il materiale che arma l’ordigno più potente e delittuoso mai costruito dall’uomo sia ottenuto attraverso l’arricchimento dell’uranio o il ritrattamento del plutonio, che provengono più o meno direttamente dalle centrali a fissione? E come sottovalutare l’intreccio societario tra le compagnie facenti parte dei complessi militari e quelle del sistema industriale-energetico che governa l’offerta e la distribuzione energetica nei Paesi più avanzati e contemporaneamente impegnati nel gioco della potenza a livello della politica internazionale?

L’importanza e l’attualità del movimento per la denuclearizzazione (chiusura delle centrali atomiche più disarmo nucleare) è strettamente da collegare all’impegno per l’energia rinnovabile di pace: per vari motivi, tra cui spiccano anche istanze di opportunità e di efficacia, abbinare la protesta alla proposta, e questo può avvenire radicando l’opposizione nel concetto di energia “bene comune”, base di una società migliore, di un ecosviluppo pacifico che, da ciascuno di noi, donne ed uomini, può essere costruito concretamente giorno dopo giorno.

Kim, Trump e Putin hanno acceso i loro candelotti in un ambiente che già di per sé è una polveriera. Occorre invece sospendere l’allestimento della Terra come una immensa polveriera atomica: 20mila (ventimila!) bombe nucleari negli arsenali di nove Stati (ciascuna con una potenza, in media, 30 volte quella di Hiroshima) delle quali poco meno di 2mila (duemila!) sono già montate su dei missili in stato d’allerta permanente, pronti a partire in 15 minuti. In Italia nelle sedi di Aviano e Ghedi sono state rimodernati 90 ordigni B61 in modo da poter essere aviotrasportati con i bombardieri F35 (dati tratti da “Esigete!” di S. Hessel e A. Jacquard, ed. Ediesse, 2014).

So benissimo di affrontare un nodo che sembra utopico, ma niente è più realistico dell’avvicinarsi all’irreversibile senza averne coscienza. Vanno così evitati i pericoli di rimozione psicologica che allontanano la gente dall’impegno e dalla mobilitazione e occorre collegare l’attenzione e la mobilitazione alle alternative propositive, in particolare al modello energetico rinnovabile. La guerra nucleare è un evento che, ancora oggi, e oggi più che ieri, rientra nell’ordine degli accadimenti probabili, anzi altamente probabili: dobbiamo dare retta alla segnalazione dell’orologio predisposto dal Bollettino degli scienziati atomici (“mancano, causa modernizzazione e potenziamento degli arsenali, meno di tre minuti alla Mezzanotte Nucleare!”).

Il 7 Luglio 2017 si è svolta a New York una storica votazione in cui 122 stati si impegnano a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Purtroppo, il Trattato sarà giuridicamente vincolante solo per gli stati che vi aderiscono e non proibirà loro di far parte di alleanze militari con Stati in possesso di armi nucleari. Il limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli stati in possesso di armi nucleari: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina, Israele, India, Pakistan e Nord Corea e gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, che ospitano bombe nucleari statunitensi. Il passo avanti è stato trascurato da tutta la stampa italiana che non ne ha dato praticamente notizia. Il via libera è un traguardo storico, anche se segna una enorme distanza tra realpolitik e diritto della pace.

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