Una colata di cemento di poco inferiore all’estensione di Campania, Molise e Liguria messe insieme. Sono poco più di 23mila i chilometri quadrati del territorio italiano ricoperti da edifici o strade, all’interno di un meccanismo di consumo di suolo che non sembra volersi fermare. Questi i risultati che emergono dall’ultima edizione del Rapporto sul consumo di suolo del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, formato da Ispra e dalle Agenzie per la protezione dell’ambiente delle regioni e delle province autonome. “Il consumo di suolo in Italia continua a crescere. Si è avuto un rallentamento, certo, ma questo non deriva da scelte politiche ma dalla crisi economica e dell’edilizia. Il 7,6% di territorio nazionale consumato può sembrare poco, ma ricordiamo che è il doppio rispetto alla media europea”, dice a ilfattoquotidiano.it Michele Munafò, responsabile del rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale sul consumo di suolo.

“In Italia – continua Munafò – abbiamo cementificato tanto, e l’abbiamo fatto male, in modo disperso sul territorio ritrovandoci ad avere habitat naturali frammentati e città vaste ma non densamente popolate”. Una pianificazione carente che non ha tenuto conto del fatto che il suolo consumato genera un impatto negativo anche nell’area che lo circonda. “Se prendessimo tutto il suolo cementificato d’Italia – precisa il responsabile del rapporto – e circoscrivessimo attorno un’area di 100 metri, andremmo a coprire il 55% del territorio italiano”.

Per avere un’idea dell’ampiezza del fenomeno basti pensare che in sei mesi – da novembre 2015 a maggio 2016 – sono stati sommersi sotto una colata di cemento ben 5mila ettari di territorio, ovvero poco meno di 30 ettari al giorno. “Come se in pochi mesi avessimo costruito 200mila villette”, si legge nel rapporto. In altre parole, pur essendoci lasciati alle spalle la velocità di cementificare al ritmo di otto metri quadrati al secondo (com’era negli anni 2000), dal 2008 è iniziato un rallentamento che nei primi mesi del 2016 ha portato la macchina dell’edilizia e delle infrastrutture a fagocitare 3 metri quadrati ogni secondo. “Un rallentamento, che non può essere visto come un successo”, precisa Michele Munafò. Tanto che, facendo il confronto tra la situazione attuale e quella degli anni Cinquanta, si arriva a comprendere come la crescita percentuale del consumo di suolo sia aumentata del 184%, passando dal 2,7% di quasi settant’anni fa al 7,6% del 2016.

Numeri, che diventano concreti se solo si attraversa l’hinterland di Lombardia e Veneto, e ci si rende conto del moltiplicarsi di arterie e capannoni. Edificazione, urbanizzazione e incremento di infrastrutture che ha dato i suoi risultati peggiori in Lombardia e Veneto, dove si arriva addirittura al 12% di suolo irreversibilmente perso. Oltre il 10% anche in Campania, seguono Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Liguria, con valori compresi tra l’8 e il 10%. In poche si salvano, visto che nel 2016 sono state 15 le regioni che hanno perso una percentuale di suolo superiore al 5%, mentre in valori assoluti – ovvero in termini di cambiamento più esteso – torna la maglia nera per la Lombardia (648 ettari di nuove superfici artificiali), seguita da Sicilia (585 ettari), e Veneto (563). Dando uno sguardo alle province, quella di Monza e della Brianza ha la percentuale più alta di consumo di suolo rispetto al territorio amministrato (oltre il 40%). Seguono Napoli e Milano (oltre il 30%),

Le colate di cemento non si fermano neppure di fronte a zone a rischio sismico (oggi è ricoperto oltre il 7% nelle aree a pericolosità alta e quasi il 5% in quelle a pericolosità molto alta), idraulico e da frana (rispettivamente l’11 e l’11,8% del suolo artificiale nazionale). Colpite anche la fascia costiera, le aree protette (con un aumento di 48 ettari tra il 2015-2016) e i parchi nazionali (come nell’Arcipelago di La Maddalena e nel Parco nazionale del Circeo).

E mentre l’Unione europea chiede all’Italia di azzerare il consumo di suolo entro il 2050, secondo l’esperto dell’Ispra se continuassimo a cementificare alla relativamente bassa velocità di questi anni, nel 2050 avremmo 3.270 chilometri quadrati di suolo cementificato in più. “Mentre, se ci fosse una ripresa economica e si tornasse ai ritmi degli anni 2000 – precisa Munafò – tra trent’anni avremo irrimediabilmente perso altri 8.300 km quadrati, ovvero un terzo del suolo consumato in Italia da sempre”. In attesa ovviamente che il legislatore si muova. “Il parlamento – continua il curatore del rapporto – dovrebbe approvare un disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo ma i cittadini dovrebbero rendersi conto che il suolo è stato troppe volte dimenticato”. Pur essendo un bene prezioso, come l’aria e come l’acqua.

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