Capiamoci: l’impasse è burocratico e procedurale. Perché una disciplina millenaria dagli indubbi benefici psicofisici e praticata nel mondo da milioni di persone (in Italia, pur in assenza di dati recenti, si sfiorano i due milioni) non ha certo bisogno di un riconoscimento dal mondo dello sport. Tanto più se inserita dall’Unesco tra i patrimoni ‘orali e immateriali dell’umanità’ e se festeggiata dall’Onu proprio oggi, 21 giugno, in concomitanza con il solstizio d’estate con una Giornata mondiale: l’esclusione dello yoga dal novero delle discipline che possono iscriversi al Registro nazionale del Coni delle associazioni e società sportive dilettantistiche- che devono essere no profit. Si tratta di una decisione che toglie tutele e agevolazioni fiscali ad ashram e centri yoga (molti gestiti con il volontariato) ora a rischio stravolgimento.

Dopo un’interrogazione in Senato al ministro dello Sport Luca Lottiper scongiurare la chiusura di migliaia di società che svolgono attività non considerate più sportive” e una petizione online (quasi 6000 firme già raccolte) per riformare l’inatteso isolamento amministrativo, “includendo le discipline arbitrariamente eliminate, per sanare questa gravissima lesione dei principi di libertà e democrazia”, contro la delibera siglata da Giovanni Malagò pende anche un ricorso al Tar.

La questione però non è tanto se lo yoga debba considerarsi o meno uno sport (personalmente la ritengo un’ortodossa filosofia di vita, una via del Sé all’autorealizzazione: Patanjali inorridirebbe all’accostamento con freccette, tiro alla fune, cinofilia e trottola!), ma capire se sullo yoga pesi l’ombra di una preclusione (in qualche modo) ideologica e se – soprattutto – c’è ancora margine per ricomporre la frattura (nel nuovo regime fiscale i centri yoga perdono sgravi fiscali, detrazioni pubblicitarie, patrocini assicurativi e dovranno vidimare i libri contabili: reggerebbero l’urto già da settembre?).

Smentita categoricamente la prima ipotesi direttamente dagli uffici del Foro Italico,rimane il fatto che per regolamentare zone grigie di settori spesso sul filo della liceità e dell’etica (il caso di anomali centri massaggi, punti ristoro e bar coperti da pseudo attività socio-ricreative) lo yoga (un mondo molto frastagliato nella sua miriade diversificata di declinazioni più o meno rispettose dell’antico lignaggio himalayano) si è ritrovato sprovvisto di quell’indispensabile affiliazione federale o dell’investitura di un organismo internazionale (tipo Cio, Sport Accord) che ne avrebbe confermato il riconoscimento dal Consiglio nazionale olimpico. La Commissione di Malagò non ha potuto che prenderne atto, escludendo asana, mudra e pranayama dal registro dello sport dilettantistico.

Solo che adesso spunta un’adozione del 21 maggio nello statuto della Federazione italiana pesistica che d’ufficio potrebbe riaprire la partita, spostando il pronostico verso un risultato conciliatorio: nell’interpretazione autentica della definizione delle “attività con sovraccarichi e resistenze finalizzate al fitness e al benessere fisico” c’è infatti spazio per lo Strength Yoga, usato (si legge sul sito della Fip) in “abbinamento degli aspetti coordinativi e respiratori nella corretta esecuzione degli esercizi”. E’ forse questo l’appiglio che il popolo degli yogin attende per continuare a praticare alla luce del sole? Saranno i ‘pesi’ a salvare la ‘leggerezza’ armonica di spirito, corpo e mente?

Ultima cosa, per chi volesse approfondire il rapporto con lo yoga o approcciarsi ad esso l’1 e 2 luglio mi trovate QUI.

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